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2015

Ecuador e Galapagos

Nikon D5300, Nikkor 18-200 e Sigma 150-500

Estate 2015. Ho deciso di ritornare in Sud America. Avevo tanta voglia di vedere di nuovo le Ande dopo il viaggio del 2011 in Argentina, Bolivia e Cile. La mia scelta è caduta sull’Ecuador, posto sorprendente ma poco noto al turismo di massa italiano. Come scopriremo durante il viaggio in effetti il grosso del turismo in Ecuador è interno. Incontreremo tantissime famiglie composte da genitori e figli intente a visitare il loro splendido paese. La scheda del viaggio di Avventure nel Mondo la trovate qui. Con un’unica soluzione ho potuto visitare per due settimane l’Ecuador e poi trascorrere una settimana in barca nell’Arcipelago delle Galapagos. Da bravo biologo ho ripercorso le orme del buon Darwin – ed era pure ora, no? 😄

L’itinerario in Ecuador prevedeva un paio di giorni in Amazzonia, lungo il Rio Napo, per poi visitare gli altopiani andini con le città di Quito, Baños, Cuenca ed i vulcani Cotopaxi e Chimborazo. La crociera alle Galapagos, invece, ci ha portato sulle isole di Baltra, Genovesa, Bartolomé, Santa Fe, San Cristòbal, Española, Floreana e Santa Cruz.

Il viaggio è stato molto bello. Ovviamente presentava le sue complicazioni. Le altezze notevoli raggiunte sulle Ande – con il mio nuovo record personale di 5100 metri, raggiunto sul vulcano Chimborazo – che hanno esposto alcuni al mal di montagna (manifestatosi per lo più con la pressione sanguigna schizzata alle stelle e con relativa necessità di assumere un diuretico). O il mal di mare sofferto da qualcuno durante le lunghe e movimentate navigazioni notturne tra le varie isole delle Galapagos. Nulla comunque di eccessivo. E per mia fortuna, nulla che mi abbia coinvolto direttamente.

L’Ecuador deriva il suo nome dal fatto di essere attraversato dall’Equatore. Ottima spunto per una raccomandazione: non dimenticate MAI il cappello. Sia per la posizione geografica che per il fatto di essere sempre ad altezze notevoli (tra i 3000 ed i 4000 metri) il sole picchia tantissimo. Tendenzialmente le temperature sono miti. Ma in montagna il tempo cambia velocemente. Per cui occorre avere sempre a portata di mano felpe e giacconi. Capi che comunque dal tramonto in poi sono d’obbligo, visto che le temperature scendono abbastanza. Prima di iniziare il racconto del viaggio ci tengo a sfatare un mito. Sicuramente in passato le condizioni economiche dell’Ecuador erano più precarie e gli allarmi lanciate dalle guide turistiche sul rischio di essere rapinati da bande di ragazzini per strada avevano il loro fondamento. Noi non abbiamo avuto nessun problema. Nè a Quito, né a Cuenca, né a Guayaquil. Vero è che siamo sempre rimasti nelle zone turistiche di queste città e siamo sempre stati attenti. Una comodità di questo viaggio è stato il fatto che non abbiamo dovuto cambiare la valuta. L’Ecuador ha abbandonato da molti anni l’inflazionatissimo Sucre per adottare il dollaro americano. Questo ci ha semplificato molto i conti e la gestione delle spese.

Bene. Le premesse sono finite ed è ora di iniziare il racconto di questa avventura…

 

1 Agosto – Ecuador (Quito)

Partenza da Roma con Iberia per un rapido scalo a Madrid. Da Madrid, undici ore su un aereo della LAN Chile per arrivare in Ecuador, a Guayaquil. Lì rapido cambio di gate per un’altro volo interno, soli tre quarti d’ora, per atterrare in serata a Quito. Seconda capitale più alta del mondo, dopo La Paz: 2800 metri sul livello del mare.

Graffiti

Abbiamo le stanze nell’Hotel Real Audiencia, in pieno centro. E’ un albergo molto buono, di lusso per gli standard del luogo, con un ottimo ristorante panoramico all’ultimo piano. Quattro piani in tutto, di cui i primi tre destinati alle stanze. Niente ascensore. Nel portare i bagagli di peso in stanza l’altezza si fa sentire con un po’ d’affanno 😉 Recuperiamo subito appena entrati in stanza col cioccolatino di benvenuto by Republica del Cacao! E’ una delle produzioni locali più diffuse e gustose.

 

2 Agosto – Ecuador (Quito – Mitad del Mundo)

Fatta colazione siamo pronti per visitare il centro di Quito. Il centro storico è abbastanza contenuto come estensione e si visita con relativa facilità a piedi. Proprio di fronte all’albergo abbiamo la Iglesia de Santo Domingo. Da lì abbiamo poi raggiunto la Plaza Grande, dove si affacciano i palazzi del governo. E quindi abbiamo visitato la Catedral Metropolitana, El Sagrario, la Iglesia de la Compañia de Jesùs e la Iglesia de San Francisco con relativo museo annesso. Avremmo dovuto attendere una guida per il museo ma, visto che i tempi sudamericani non combaciavano con le nostre necessità, abbiamo fatto senza.

Ray of light

A metà mattinata avevamo infatti appuntamento vicino l’albergo con Giovanni, il nostro autista. Giovanni (si chiama proprio così e non Juan come pensavo all’inizio) lavora per la ditta di Ivan Collantes e guiderà il nostro mezzo nelle prossime due settimane. Noi siamo in quindici e l’autobus è da trenta posti. Staremo comodi, ottimo! 😅 Giovanni ci accompagna con il bus sulla cima della collina detta El Panecillo. Siamo a 3000 metri e la vetta è sormontata dalla enorme statua della Vergine del Panecillo, alta ben 45 metri. La Vergine calpesta un grosso serpente (che a me sembra più un drago, ma vabbè…) e sembra sia l’unica statua rappresentante una Vergine alata. Dal parco si domina tutta Quito e si scorgono i vulcani che circondano la capitale, tra cui il Cotopaxi (5897 metri) ed il Cayambe (5790 metri).

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Il parco è pieno di ragazzi che giocano con gli aquiloni. Volteggiano altissimi nel cielo e sono uno spettacolo bellissimo. Abbiamo mangiato lì – la zona è piena di bancarelle che cucinano salsicce e carne. Il tempo era splendido, il cibo buono e la birra troppo gasata. Ma deve piacere così, perché la Pilsener la troveremo ovunque. Personalmente durante il viaggio ho preferito la Club, anche se meno diffusa della Pilsener.

Food in Ecuador

 

Dopo pranzo siamo andati alla Mitad del Mundo, come chiamano qui l’Equatore. Abbiamo Raggiunto San Antonio de Pichincha, dove abbiamo visitato il Museo Intiñan. E’ un museo all’aperto ed è risultato più interessante di quello che pensavamo. Sono state ricostruite delle capanne che riproducono il modo di vivere e le usanze delle antiche culture pre-colombiane. Mi ha colpito molto un diorama rappresentante la zona amazzonica, con tanto di anaconda impagliata e soprattutto con la possibilità di vedere una vera testa rimpicciolita. Affascinante. Ne avevo già viste alcune a New York al Metropolitan Museum, ma sempre sotto una teca. Ci spiegano che le teste dei nemici vinti venivano disossate e bollite. Poi, riempite di pietre per mantenerne la forma, venivano fatte essiccare. Erano poi inserite sulla punta dei bastoni degli sciamani o portate al collo dai grandi capi delle tribù.

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Alla fine del museo c’è la zona “sperimentale”, dove vengono eseguite delle dimostrazioni su alcuni fenomeni naturali legati alla linea dell’equatore. Uno di questi vuole rendere visibile la Forza di Coriolis e prevede che, stappato un lavandino, l’acqua cada in senso orario nell’Emisfero Boreale ed in senso antiorario in quello Australe. Wikipedia ci assicura che sia un trucco, però che dire… io l’ho trovato interessante lo stesso.

Lasciata la Mitad del Mundo siamo andati alla Riserva Geobotanica di Pululahua, dove ci siamo bevuti una birra affacciati nella caldera spenta del vulcano Pululahua. Diciamo che era più un momento relax che un’escursione 🍺

Il nostro capogruppo ci preannuncia che avremmo dovuto incontrare il referente di Avventure per ritirare i documenti per la crociera alle Galapagos. E che siamo stati tutti invitati a cena a casa sua! Siamo stati così ospiti del signor Fabio Tonelli. Fabio Tonelli è il titolare della Tonelli Tours, una agenzia viaggi focalizzata sulle Galapagos. Fabio ci accoglie calorosamente a casa sua e, mentre la moglie e la figlia finiscono di cuocere la pizza per la cena, lui ci racconta la sua vita avventurosa. Fabio è un signore di Torino che aveva fatto il dirigente in FIAT per una decina d’anni e poi era passato nell’editoria in Rusconi. A quarant’anni la sorella gemella di Fabio si ammala e muore. Fabio l’assiste fino alla fine e le promette di proseguire l’opera da lei svolta nell’Associazione salesiana Mato Grosso. I padri salesiani gli propongono tre mete: il Brasile, il Perù oppure l’Ecuador, dove nessuno vuole andare. Fabio risponde: se mi dite dov’è l’Ecuador, ci vado io. Lascia così il lavoro e la sua prima famiglia (moglie e due figli) e parte per l’Amazzonia. Lì però va in contrasto con i padri salesiani che parlano ai bambini dei diavoli e dell’inferno. Un giorno si alza in piena messa e dice ai bambini: non date retta a quel prete, il solo diavolo è lui. Stategli lontano e siate felici. Il giorno dopo i salesiani lo sbattono fuori. Lui prima segue un corso da guida naturalistica nella foresta equatoriale e poi si trasferisce sulla costa dell’Ecuador dove impara a fare il cuoco. Ad un certo punto si imbarca come cuoco su una nave e sbarca alle Galapagos, dove trova il Paradiso. E nel Paradiso conosce Cecibel, una ragazza di vent’anni… Lui la chiama Sexybel: Siccome ho 80 dollari in tutto, affittiamo una baracca senza luce, né acqua. Viviamo lì dentro per un anno, l’anno più bello della mia vita. Aprono un ristorante che ottiene un buon successo. Dopo quel primo anno (ri)compare il marito di Cecibel, che rivuole la moglie! Lei ama me ribatte Fabio. La notte, armato di quattro bombole di gas, il marito della ragazza fa saltare in aria il locale. Cecibel allora decide di tornare da lui, perché ha dimostrato di amarla veramente 😰 Fabio allora apre una agenzia di viaggi ed alla fine sposa una professoressa universitaria di Quito. Con lei ha tre figli e lui oggi, dopo vent’anni di matrimonio, ci racconta di aver confessato alla moglie: mi paiono venti minuti che ti ho sposato. Fabio collabora con la RAI come consulente per varie trasmissioni naturalistiche in Amazzonia e alle Galapagos. Ha anche recitato con una piccola parte in Rapimento e Riscatto, film con Russel Crowe e Meg Ryan che doveva essere girato in Colombia ma poi, a causa dei pericoli legati alla sicurezza, fu girato in Ecuador.

Fabio è un fiume in piena di parole ma, fatta la tara alle tante cose che ci ha raccontato, ci ha fatto passare una serata gradevole e ben diversa da quello che ci aspettavamo. Torniamo in albergo belli carichi e pronti per iniziare il viaggio in Ecuador. Prima tappa: l’Amazzonia.

 

3 Agosto – Ecuador (Puerto Misahuallì)

La mattina lasciamo Quito per i nostri due giorni in Amazzonia. Sebbene il mese di Agosto sia in piena stagione secca, il tempo è comunque abbastanza variabile. Viaggiamo sotto un cielo plumbeo e pesante. Ci dicono che in Amazzonia ha piovuto molto nei giorni passati – ma non era la stagione secca?!? – e che la via che avremmo dovuto percorrere è allagata. Ragion per cui ci alziamo all’alba, perché dobbiamo necessariamente allungare il percorso per aggirare l’ostacolo.
Facciamo qualche sosta ogni tanto. A volte per fare carburante, altre per sgranchirci un po’ le gambe. Sempre in piccoli agglomerati urbani che sembrano esistere solo in funzione di una pompa di benzina o di un incrocio.
Alla fine arriviamo alla nostra meta: El Jardin Aleman. La zona è quella di Puerto Misahuallì, sul Rio Napo. E’ da queste parti che Francisco de Orellana iniziò la sua avventura in cerca del mitico El Dorado. Non trovò la città perduta, ma scoprì il Rio delle Amazzoni, di cui il Rio Napo è un affluente, e lo percorse fino all’Atlantico.

Ara ararauna

 

All’arrivo al Jardin siamo subito accolti dal personale, che annovera anche alcune are coloratissime che hanno eletto a propria dimora la struttura. Sono animali feriti che ormai svolazzano da un capo all’altro della zona ricreativa del Jardin.

La sistemazione è ottima. Bungalow per due persone, zanzariere alle finestre, amache nelle verande. E tanto verde. I viali del Jardin Aleman sono curati, con tanti fiori a rallegrarli. Siamo ai bordi della foresta pluviale: un enorme, forse infinita distesa verde. Vista così non sembra un ecosistema fragilissimo, qual è in realtà.
Qui le piante che facciamo crescere nei vasi dei nostri balconi sono alberi torreggianti. A guardarli sembra di essere sulla Isla Nubla di Jurassic Park. Ti senti piccolo piccolo e ti aspetti veramente che un lucertolone gigante faccia capolino tra quelle fronde!

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Staremo qui due giorni. Subito ci illustrano le escursioni in programma. Per il giorno dopo sono previste due escursioni a piedi nei pressi del Jardin. Per il giorno successivo invece prenderemo una lancia fluviale per addentrarci in una zona meno antropizzata.

itinerario_amazzonia
Ci spiegano che non vedremo i grandi animali dell’Amazzonia, i giaguari o le anaconde. Vivono molto più all’interno della foresta e comunque con tutto il chiasso che facciamo noi turisti li faremmo comunque allontanare!

Rio Napo

 

Andiamo a dormire carichi di aspettative per l’escursione del giorno dopo e mi addormento ascoltando il rumore del fiume. La notte piove così intensamente da svegliarci, ma il mattino porta di nuovo il sole.

 

4 Agosto – Ecuador (Puerto Misahuallì)

Come dicevo la giornata è splendida ed assolata. Il Jardin Aleman ci fornisce degli stivali, visto che cammineremo nel fango. Forse l’ho accennato, ma vale la pena di ripeterlo: qui piove ogni santo giorno, anche nella cosiddetta stagione secca. Quindi il fango è sempre presente nelle passeggiate. Di stivali ne hanno tanti e di varie misure. Scelgo quelli di una misura inferiore alla mia, visto che il mio numero mi va un po’ largo. È importante avere una buona calzatura con gli stivali, sennò si rischia di perderseli nel fango!

Tarantola
Come da programma neanche facciamo i primi passi nella foresta che iniziano le prime scivolate e le prime cadute. Ci si muove su sentieri già battuti ed il tour dura tutta la mattinata. Mi sento di dire che il livello di difficoltà di queste escursioni sia semplice. Ma se non si ha un buon senso dell’equilibrio si rischia di farsi male, proprio per la poca aderenza del suolo. La foresta è immensa e percorrerla su e giù per i suoi pendii è una scoperta continua. La nostra guida ci illustra piante ed insetti che incrociamo. Mi sono rimasti impressi nella memoria un ragno scorpione ed una grossa tarantola.

 Nota fotografica. Avrei avuto bisogno di un obiettivo macro. Qui i panorami sono tutti uguali: fronde, foglie, verde. E gli insetti, spesso unici, sono difficili da mettere a fuoco con obiettivi non dedicati.

Siamo per pranzo al Jardin e nel pomeriggio andiamo a piedi nei pressi di Puerto Misahuallì a vedere l’albero più vecchio della zona.

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Quattrocentottanta anni portati più che egregiamente da questo gigante vegetale. E’ altissimo ed ha questo tronco imponente con queste radici enormi. Come mi sento piccolo e precario di fronte a tanta magnificenza espressa dalla Natura, quella con la lettera maiuscola.

 

5 Agosto – Ecuador (Puerto Misahuallì)

Oggi invece il tempo non ci è favorevole. Basse nuvole su di noi. Andiamo a Puerto Misahuallì per imbarcarci su una lancia fluviale. Sono imbarcazioni strette ed incredibilmente lunghe. Si sta seduti su delle panche da due posti e, visto che inizia a piovere, ci si bagna pure facilmente.

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Lungo il fiume scorgiamo vari accampamenti. Tende, carriole, setacci: uomini, donne, ragazzi che cercano l’oro nelle acque del Rio Napo. Auguro mentalmente loro di incappare in qualche grammo di ricchezza. Ma dentro so che probabilmente la loro sarà una vita di speranze irrealizzate. Superate varie anse, raggiungiamo una località chiamata Misicocha, nei pressi di Ahuano. Lì sbarchiamo e ci ripariamo sotto una tettoia munita di tavoli e panche. Alleggeriti del bagaglio, bardati di keyway o mantelle ci inoltriamo nella foresta che più pluviale di così non poteva essere! Eppure per me questa escursione è stata anche più affascinante di quella del giorno prima. Sotto le fronde degli alberi poi la pioggia non è nemmeno così intensa come sulle sponde del Rio Napo. E soprattutto abbiamo a sensazione di vivere veramente l’Amazzonia per quello che è veramente.

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Dopo un’ora e mezza abbiamo finito la nostra escursione, ritorniamo all’imbarcadero e pranziamo. Poi risaliamo sulla lancia e ci fermiamo poco prima di Puerto Misahuallì in un villaggio indigeno. Ovviamente ci aspettiamo di sbarcare in un villaggio “turistico” (ditegli di andare a togliersi giacca e cravatta prima che sbarchiamo scherza uno di noi). Per trovare le tribù amazzoniche la cui cultura è ancora – nei limiti del possibile – quella originaria bisogna addentrarsi di molto nella foresta. Questi villaggi comunque possono darci un’idea di quella che è la cultura delle tribù locali. Ci accolgono in una grande capanna dove ci spiegano alcune loro tradizioni e ci illustrano come fanno la chicha.

La chicha è una sorta di birra non fermentata (qui su Wikipedia trovate qualche informazione in più) che tra l’altro assaggiamo. Uhm… non rientra nelle mie bevande preferite! Comunque la bevanda originaria viene preparata dalle donne che masticano il mais e lo sputano in un contenitore. Qui sono più evoluti e lo macinano con una sorta di pestello. Dopo le spiegazioni sulle loro tradizioni passiamo alla parte pratica e le ragazze del villaggio, vestite in abiti etnici, eseguono alcune danze per noi. Finiti i balletti siamo liberi di girare il piccolo villaggio.

 

C’è un negozio di artigianato pieno di souvenir poco originali. Lo sciamano che per due dollar allontana le negatività grazie ad una danza e – soprattutto – soffiando sulla nuca del turista il fumo di un sigaro. Ah, poi per un solo dollar si possono fare delle foto con in braccio un alligatore (dalla bocca serrata dal nastro adesivo) o un serpente (ben annodato). Insomma, come dicevo: tutto molto, molto turistico…

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Comunque la nostra puntata in Amazzonia l’abbiamo fatta e ci ha soddisfatto. Lasciamo il villaggio e torniamo a Puerto Misahuallì. Nella piazza del villaggio vivono alcuni babbuini. State attenti. Sono dispettosi e vi possono saltare addosso per impossessarsi di quello che portate in mano 😁

 

6 Agosto – Ecuador (El Pailòn del Diablo – Baños de Agua Santa)

Classica giornata che parte come “di solo spostamento” e che invece riserva una sorpresa inattesa! Lasciamo l’Amazzonia per tornare sulle Ande. La nostra meta è Baños, a 160 km da Ahuano. Tutti in curva ed in salita ovviamente. Solite noiose soste lungo la strada, finché a venti chilometri da Baños non ci fermiamo per pranzo e per vedere una cascata, El Pailòn del Diablo. Vabbè mi dico… ne ho viste tante ma una in più non farà male.

 

Infatti. Perché questa è veramente straordinaria, con il suo sentiero scavato nella roccia fin sotto il muro d’acqua! Prima percorriamo il sentiero che si apre sotto la cascata (lo vedete nel video in basso a destra). Sull’ultima terrazza siamo bagnati come pulcini. Poi percorriamo un secondo sentiero che, tramite un paio di ponti tibetani, ci porta sopra la cascata stessa – che poi è il punto da dove ho girato il video qui sotto:

 

 

Nel pomeriggio raggiungiamo Baños de Agua Santa. Ci sistemiamo all’Hotel La Floresta e visitiamo la città. Baños è una località turistica molto gettonata in Ecuador, con molteplici attività outdoor: rafting, kayak, equitazione, mountain bike, ecc. Noi, restando solo per la serata, non abbiamo tempo per le escursioni e ci limitiamo a visitare la Basilica de Agua Santa e le terme. La chiesa è molto suggestiva, decorata con numerosi quadri ex voto che testimoniano i vari miracoli effettuati dalle acque di Baños. Chiudiamo la serata con una spettacolare grigliata mista e vino rosso alla Steak House Bambu.

 

7 Agosto – Ecuador (Cotopaxi)

Lasciamo Baños per il Vulcano Cotopaxi. Il Cotopaxi con i suoi 5872 metri di altezza è la seconda montagna più alta dell’Ecuador. Battuto solo dal Chimborazo, un monte alto 6310 metri. Resta però il terzo vulcano più alto del mondo (dopo l’Ojos del Salado in Cile ed il Sabancaya in Perù). Il Cotopaxi alla vista è straordinario, con il suo cono perfetto cinto da ghiacciai che si staglia contro il cielo. All’ingresso del parco ci attendono le nostre guide. Facciamo una prima sosta a 3600 metri dove c’è un piccolo museo in cui ci illustrano la storia geologica della zona. C’è anche un piccolo locale dove è possibile degustare mate de coca, il the alla coca che – secondo le guide – funge da facilitatore per adattarsi alla quota. Come mi spiegarono a suo tempo i minatori boliviani di Potosì la storia non è così semplice: bisogna ruminare grandi quantità di foglie di coca insieme ad un catalizzatore, un minerale che permette l’estrazione della sostanza. Ma è pur sempre una bevanda calda che ristora e fare una pausa per berla vale sempre la pena.

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Saliamo con il nostri bus fino ad un parcheggio a 4600 metri. Di lì si può raggiungere il rifugio a 4900 metri. Oggi soffro tanto l’affanno. Ne soffro sempre dai 3800 metri in su. Anche questo l’ho scoperto nel viaggio in Bolivia. C’è una nuvola poggiata sul Cotopaxi e tira un vento imperioso. Decido di restare nell’autobus. Un intrepido manipolo di avventurieri però non si fa scoraggiare e, bardato di tutto punto, raggiunge il rifugio. Al loro ritorno il vento ha spazzato via le nuvole e, come vedete dalla foto sopra, dal parcheggio la vista del cono avvolto dai ghiacciai è spettacolare!

Anche la foto di gruppo che chiediamo alle guide non è male 😂😂😂

Scendiamo poi a 3800 metri ad una laguna sempre nel parco del vulcano. Dopo un giro sulle sponde della laguna e qualche altra foto al Cotopaxi andiamo a Latacunga, dove alloggiamo presso la Villa de Tacvnga. L’hotel è ricavato in una antica residenza coloniale spagnola ed ha annesso un buon ristorante. Ahinoi decidiamo di provare a cena un piatto tipico del posto, il chugchucaras. E’ un piatto con carne di maiale, platani, pop corn, e tostado (un tipo particolare di cereale locale) serviti su delle empanadas. Non ci piace un granché… peccato, perché normalmente le pietanze locali sono gustose e appaganti.

 

8 Agosto – Ecuador (Tigua – Zumbahua – Laguna Quilotoa)

Il nostro autista, Giovanni, ci propone un pranzo diverso. La sua famiglia vive da quelle parti ed il suo papà alleva cuy, porcellini d’india. Qui sono una leccornia e si servono nelle occasioni importanti. Accettiamo la proposta e, prima di andare a vedere la Laguna Quilotoa coma da programma, andiamo a conoscere il papà di Giovanni. Vive in un casolare di campagna. Come nelle città anche, e soprattutto, nelle campagne le differenze nella qualità di vita tra noi ed il resto del mondo sono più che evidenti.

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La casa di questi signore sempre sorridente è modesta e necessiterebbe di una robusta ristrutturazione. Alleva molti cuy, stipati in gabbie di legno. Ci ha già messo da parte in un sacco una decina di animali e ce li fa vedere. Dopo una bella chiacchierata ed aver visto il nostro futuro pranzo – si, lo so, per chi non è vissuto in campagna l’idea di mangiare un animale con cui si è interagito può sembrare orrenda – ci diamo appuntamento per il pomeriggio e ci avviamo a proseguire la nostra escursione.

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La nostra prima sosta è presso un negozio di artigianato lungo la strada per Tigua. E’ La Galerìa 1 del Maestro Julio Toaquiza Tigasi. Tutte opere di artigianato fatte in loco ed anche molto belle. Dopo la sosta shopping raggiungiamo Zumbahua.

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Zumbahua è sede di un mercato, un mercato vero, nulla di turistico. E’ forse uno dei momenti più belli del viaggio sulle Ande. Passiamo il tempo a girare per le varie sezioni del mercato: cibo, animali, abbigliamento mentre le persone del luogo pranzano o sono intente a contrattare. Ah si… mi son dimenticato di dirvelo. Qui si contratta sempre e ovunque. Dal maestro artigiano come al mercato. Sono tutti vestiti alla maniera tradizionale ed i turisti, si, ci sono, ma non sono neanche tanti.

 

Restiamo un’oretta buona in giro per il mercato e poi ci avviamo alla Laguna Quilotoa. La laguna è un enorme lago sulfureo che occupa la caldera spenta di un vulcano. Guardarla dall’alto è semplicemente fantastico. Il tempo oggi non ci è favorevole: molte nubi, poco sole ed i colori cangianti dell’acqua si intravedono appena le poche volte che il sole fa capolino tra le nubi.

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Al ritorno dalla laguna torniamo a casa del padre di Giovanni. Ora ci sono altri parenti e dei vicini venuti per aiutare. Ci apparecchiano i tavoli nell’aia e finiscono di cucinare i cuy. Il sapore ricorda il coniglio ma è più gustoso. La carne è poca e va rosicchiata. Nel tardo pomeriggio torniamo a Latacunga e visitiamo la città e le sue chiese. Iniziamo a notare come per illuminare le architetture sacre siano molto diffusi i neon dai colori vivaci. Che simpatica abitudine… pacchiana!

Come esempio, uno per tutti, sopra potete vedere una chiesa di Cuenca. Ditemi voi…

 

9 Agosto – Ecuador (Alahusì – Nariz del Diablo)

Ci spostiamo ad Alahusì.

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Alahusì è una cittadina abbastanza povera, caratterizzata da un’enorme statua di San Pedro che la domina (anche questa un po’ pacchiana a dire il vero), da file di case colorate e gremita di persone che vestono in abiti tradizionali.

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Prendiamo le stanze all’Hostal San Pedro. Ma perché siamo venuti qui? Per il treno. Eh si, qui c’è un treno che percorre quello che è rimasto della vecchia ferrovia che da Quito scendeva al mare a Guayaquil. Il tratto ancora in funzione unisce Alausì a Sibambe e percorre la Nariz del Diablo. La Nariz del Diablo è una montagna di 1900 metri con i fianchi a strapiombo. Non potendo far girare il treno su dei tornanti per fargli discendere queste pendici, gli ingegneri ferroviari si inventarono un meccanismo di scambi che permette al convoglio di scendere a zig zag. Mi spiego meglio.

 Il treno, per cambiare direzione, procede per un tratto lungo un binario morto, per poi percorrere a marcia indietro il tratto successivo. Questo tracciato è lungo 2 km e copre un dislivello di 800 metri.

I lavori durarono un anno, con un costo enorme soprattutto in termini di vite umane: furono ingaggiati operai e schiavi, neri, indigeni e giamaicani. In molti morirono a causa delle condizioni climatiche estreme, della febbre gialla e dei morsi di serpenti. Una volta la locomotiva era un ferrovecchio a vapore e ci si poteva sedere sul tetto dei vagoni (dopo essersi procurati un cuscino visto che il tetto non era stato adattato al tour panoramico). Poi negli anni ’90 due giapponesi ebbero la bella idea di alzarsi e fecero una brutta fine. Onde ragion per cui il governo ha proibito la seduta sul tetto ed ora c’è un treno tutto nuovo con delle ampie vetrate.

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Il tragitto è veramente poco interessante. Se sul treno divengono assegnati i posti a monte (lato destro del treno quando partite) avrete una vista sul panorama molto limitata e per fare due foto sarete costretti a chiudere il permesso a chi ha i posti a valle. Sibambe poi è una trappola per turisti. Sibambe infatti consiste solo di una stazione con le solite bancarelle. Sicuramente quando si viaggiava sul tetto del treno il viaggio valeva il biglietto. Oggi come oggi potete tranquillamente escludere la nari del Diablo da un vostro itinerario in Ecuador.

 

10 Agosto – Ecuador (Chimborazo)

Da Alahusì andiamo sul Chimborazo. Come accennavo prima quando parlavo del Cotopaxi, il Chimborazo è la montagna più alta dell’Ecuador con i suoi 6310 metri. Anche se è più basso dell’Everest, la sua vetta è il punto più distante dal centro della Terra. Questo perché il nostro pianeta è schiacciato ai poli e slargato all’equatore. O forse… Forse bisogna cambiare punto di vista. La cima coperta dai ghiacci del Chimborazo è il punto della Terra più vicino al sole. Ed è anche il posto dove lavora l’ultimo mercante di ghiaccio dell’Ecuador (qui l’articolo de Il Post che mi ha fatto scoprire questa storia).

Bene. Arriviamo all’ingresso del parco al primo rifugio a 4400 metri. Ci fermiamo per una sosta e recuperiamo la nostra guida, Pascal detto El Professor. I suoi amici lo chiamano così per l’aspetto, credo.

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Pascal è un membro della comunità locale che gestisce il parco del vulcano. Ci racconta che una volta l’ha scalato tutto, raggiungendone la cima. La scalata va fatta in notturna perché di giorno il calore del sole rende il ghiaccio instabile. Si arriva sulla cima, si vede l’alba e si scende. Con lui ci spostiamo sul bus fino al secondo rifugio, a 4800 metri. E qui un terzo del gruppo alza bandiera bianca. L’altezza si sente. C’è da fare a piedi questa salita fino al terzo rifugio, a 5000 metri. Ce la farò? Mi dico: proviamoci, alla peggio torno indietro. Al contrario della giornata sul Cotopaxi, oggi c’è il sole e poco vento. Ci avviamo e piano piano, facendo frequenti soste per rifiatare, raggiungiamo la nostra meta. Ci sediamo all’esterno del rifugio per recuperare un po’ (il rifugio a 5000 metri è chiuso). Poi Pascal ci esorta ad un ultimo sforzo, sopra il costone di fronte a noi c’è una laguna. Sono soli altri 100 metri da salire. E li saliamo. E’ la stagione secca, lo ricordate? Ve lo dicevo quando parlavo dell’Amazzonia. Quindi la laguna in questa stagione è solo una pozzanghera! Ma non fa niente.

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Sono a 5100 metri sul livello del mare. Non sono mai arrivato così in alto. Quattro anni fa in Bolivia, al Sol de Mañana, raggiungemmo i 4950 metri. E li raggiungemmo con le auto, non a piedi. Sono molto contento di questo traguardo.

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Cosa ci mancherebbe? Ma una bella foto del Chimborazo in eruzione. Scherziamo con Pascal: più tardi, quando siamo a valle, il Chimborazo erutta e facciamo delle belle foto. Pascal ride e ci rassicura. Questo vulcano è spento da tempo immemore. In quel momento non lo sappiamo ma c’è veramente un’eruzione in corso. Dopo trent’anni dagli ultimi segni di attività ed un secolo da una vera eruzione, è il Cotopaxi che si è risvegliato! Lo scopriremo giorni dopo e lo vedremo cacciar fumo dalla caldera l’ultimo giorno, da Quito.

 

11 Agosto – Ecuador (Incapirca – Cuenca)

Lasciamo Alahusì per raggiungere Cuenca. Lungo il tragitto, tratteggiato dai soliti paesaggi stupendi, facciamo tappa alle rovine di Incapirca. Incapirca in quechua vuol dire “muro dell’Inca”. Il nome si riferisce al tempio del sole, monumento abbastanza ben conservato in quella che era una fortezza degli invasori Inca. Queste zone infatti erano abitate dalla popolazione dei cañari, che combatterono strenuamente prima di essere assoggettati dal potente impero Inca.

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Dopo pranzo lasciamo Incapirca e raggiungiamo Cuenca. Prima di andare in albergo andiamo a visitare una fabbrica di cappelli Panama, la Homero Ortega. Che c’entra una fabbrica di cappelli Panama in Ecuador, direte voi? Se si chiamano Panama saranno fatti a Panama, no? Ecco, no. Il cappello è tipico dell’Ecuador e veniva utilizzato dai lavoratori del Canale di Panama. Fu Roosevelt in un discorso a riferirsi a lui come cappello Panama e quindi tutti lo conosciamo così. Qui è semplicemente el sombrero. Nella fabbrica c’è anche un museo ed una giovane guida ci spiega il processo di lavorazione. Serve un giorno e mezzo ad un artigiano per intrecciare un cappello. A seconda di quanto è fitto l’intreccio varia il pregio del cappello stesso. Si spazia dai venti i mille dollari. Tutta la procedura di fabbricazione dei cappelli è molto interessante. Alla fine del tour c’è la zona espositiva dove il gruppo si scatena nella prova cappelli e nello shopping.

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Dato fondo alle carte di credito andiamo finalmente in albergo. L’Hostal La Orchidea ha il vantaggio di essere in pieno centro, sebbene sia una sistemazione senza pretese. Comunque prima di cena approfittiamo per un primo giro. Cuenca è, insieme a Quito, una delle più belle città dell’Ecuador, con un centro storico ricco di vestigia coloniali e di belle chiese. Rispetto agli altri posti dove abbiamo sostato finora, qui siamo veramente in una città. Non si vedono persone vestite con abiti tradizionali, le vie sono piene di negozi ed il traffico è abbondante. Ceniamo al Raymipampa, nel centralissimo Parque Abdon Calderon. Il locale è aperto fino a tardi – che qui si traduce fino alle 22,30!

 

12 Agosto – Ecuador (Cuenca)

Dobbiamo prendere una decisione. Il nostro programma originario prevedeva di passare tutto il giorno a Cuenca. La sera che a Quito fummo ospiti di Fabio Tonelli, lui ci anticipò che il 13 Agosto ci sarebbe stato uno sciopero generale contro il Presidente Correa. Fabio stesso era tra i tanti organizzatori. Ci spiegava che, come sovente avviene in Sud America aggiungo io, Correa dopo due mandati presidenziali voleva cambiare la costituzione per diventare presidente a vita. Fabio stesso in passato aveva votato per Correa, ma ci diceva che lo aveva sostenuto solo perché lo considerava meno peggio della persona che andava a sostituire. Comunque sia, Fabio ci aveva assicurato che lo sciopero non avrebbe interessato il volo da Guayaquil alle Galapagos del 14 Agosto. Ma c’era il rischio che il 13 Agosto i campesinos avrebbero potuto bloccare le strade, con il rischio concreto per noi di non riuscire a raggiungere Guayaquil in tempo e di perdere il volo. Dato che un pomeriggio a Cuenca non vale quanto una settimana alle Galapagos, decidiamo all’unanimità di partire dopo pranzo.

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Ragion per cui: visita di Cuenca a marce forzate!!! Anche perché la città è proprio bella. Visitiamo le sue due cattedrali. La nuova cattedrale è imponente. E’ dedicata alla Vergine e nella cripta sono seppelliti i membri delle famiglie di Cuenca che ne hanno finanziato la costruzione. Lo stile è neogotico ma la facciata a prima vista sembra stranamente monca. Per un un errore di progettazione le torri non possono sostenere il peso delle campane, per cui sono appunto monche della parte finale! In compenso la chiesa ha delle cupole azzurre fantastiche. Saliamo fino alla cima del tetto per ammirarle. Vi ricordo che siamo a 2500 metri per cui la salita per la lunga scala a chiocciola è… come dire… una bella impresa! Ma… ma… Sul tetto c’è anche la statua dell’Imperatore Palpatine di Guerre Stellari?!? Ah, no. La guida ci spiega che è la statua di Santa Anna. Io non sono convinto però… Di spalle è proprio Palpatine! Dev’esserci un culto Sith a Cuenca 😉

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Bellissima anche la cattedrale vecchia, come le altre chiese che visitiamo. E poi tutti gli edifici in stile coloniale. All’inizio della mattina il tempo è incerto, ma a metà mattinata volge al bello. Pranziamo all’Inca Lounge, un locale lungo il Rio Tomebamba. Il proprietario è un ragazzo dell’Oklahoma che si è trasferito qui. E visto che lui è americano un cheeseburger ed una birra ci stanno proprio.

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Dopo pranzo ci avviamo per il lungo trasferimento a Guayaquil. Sono circa 200 km da percorrere. Il tempo cambia di nuovo e salutiamo le Ande sotto un cielo plumbeo ed un po’ di pioggerellina. Una volta scesi al livello del mare le temperature salgono ed il clima diventa afoso. Lungo la strada per Guayaquil siamo circondati da bananeti su bananeti. Guayaquil è la più grande ed importante città dell’Ecuador. Si affaccia con il suo porto sulla foce del Rio Guayas ed è il polmone economico dello stato. In contrasto con i posti dove siamo stati finora è una città moderna ma non bella. E con un traffico che non vi dico… Il richiamo che pervade le affollatissime strade è agua agua. Sono i venditori di acqua che offrono per un dollaro una bottiglietta d’acqua fresca. E con questa afa la si compra senza problemi.

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Alloggiamo all’Hotel The Park, in centro, vicino al Comune e al Malecòn 2000 – il lungofiume ristrutturato di Guayaquil. Le stanze sono delle piazze d’armi e vanno a compensare gli spazi ristretti delle ultime sistemazioni a Cuenca e Alahusì. Ceniamo al ristorante consigliato dall’albergo, il Restaurant 88. Mangiamo bene ma il posto è caro. Poi ci facciamo una passeggiata sul Malecòn. E’ un posto tranquillo, con una forte presenza delle forze dell’ordine.

 

13 Agosto – Ecuador (Guayaquil)

Il dilemma di essere per un giorno interno a Guayaquil è che c’è veramente poco da fare per un turista. Decidiamo di provare l’ebbrezza di visitare la città su uno di quei classici bus dal tetto scoperto. Nel frattempo notiamo che in città le forze dell’ordine si stanno preparando per la manifestazione di protesta. Tanti, tanti poliziotti in tenuta antisommossa: casco, manganello e scudo. E ogni tanto anche qualche pattuglia dell’esercito con soldati armati con M16 o Kalashnikov. I manifestanti si intravedono raramente, solo in piccoli gruppi. Comunque tutto sembra tranquillo e ci avviamo a fare il nostro giro.

(Ri)vediamo il Malecòn, i palazzi del governo, un paio di parchi, l’aeroporto, la stazione degli autobus ed il primo centro commerciale di Guayaquil. Già quando ci invitano a rimirare l’aeroporto capiamo che non c’è proprio niente da vedere qui. Passata la mattinata, pranziamo al Malecòn presso delle cooperative di pescatori – pasto ottimo tra l’altro. Dopo pranzo visitiamo la Catedral Metropolitana de Guayaquil ed il Parque Seminario, popolato da iguane terrestri e tartarughe.

 

Poi verso le 18, col corteo che si avvicina, preferiamo rientrare in albergo. Il corteo passa sotto le nostre finestre ed è imponente.

Non ci sono incidenti (scopriremo che invece a Quito ce ne sono stati) anche se buona parte delle attività commerciali hanno preferito chiudere per sicurezza. Proviamo a fare un giro ad ora di cena in cerca di qualche locale meno turistico, ma è proprio tutto chiuso e alla fine siamo di fatto obbligati a cenare all’Unicafe, il ristorante dell’albergo UniPark Hotel, proprio dietro il nostro albergo. Il cibo comunque è molto buono. Dopo cena vorremmo rifare un’altra passeggiata sul Malecòn, ma anch’esso è stato chiuso per motivi di sicurezza. I manifestanti ormai sono passati ai festeggiamenti – sparano dei fuochi d’artificio – mentre la piazza sotto il comune è zeppa di poliziotti che, ancora bardati e provati dal clima tropicale, attendono di essere riportati in caserma.

 

14 Agosto – Galapagos (Las Bachas)

Si parte per le Galapagos. Salutiamo Giovanni, il nostro autista. Abbiamo diviso i bagagli. Il vestiario per le Ande ed i souvenir li abbiamo lasciati sul suo bus e ce li farà trovare in albergo a Quito. Portiamo con noi solo un bagaglio più contenuto, visto che passeremo una settimana in barca.

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All’aeroporto facciamo subito una prima fila per far sigillare i bagagli e pagare 20 dollari per una tassa aeroportuale. Due ore di volo ed atterriamo all’aeroporto Seymour, Isla Baltra, Galapagos. Cambiamo fuso orario, passando dal -7 di Quito al -8 delle Galapagos. Appena atterrati altra fila per il controllo passaporto e per pagare 100 dollari (rigorosamente in contanti) di tassa di ingresso. Questi soldi vanno direttamente al Centro Darwin, la stazione scientifica che si occupa di preservare l’ambiente e la biodiversità nel Parco Nazionale delle Galapagos. Superati i controlli troviamo ad accoglierci la nostra guida, Julio Pachay. E’ il signore della foto sopra. Julio è una guida naturalistica ed è nato e vive alla Galapagos. Ci fa salire su dei torpedoni che ci portano al porticciolo, dove veniamo imbarcati sulla nostra nave, la Golondrina (la Rondine). Qui sul sito è riportato l’itinerario di massima previsto. Il giro completo dell’arcipelago prevede quindici giorni di crociera. In una sola settimana si vedranno solo alcune isole. Gli itinerari sono prestabiliti ed autorizzati dal Parco Nazionale. Sono comunque pensati per far vedere ai turisti più o meno le stesse specie animali presenti nell’arcipelago. L’accesso alle Galapagos è molto limitato. Sono accolti solo 200.000 turisti l’anno. Si può risiedere sulle poche isole abitate o effettuare una crociera in barca. In questo secondo caso è obbligatorio avere a bordo una guida autorizzata e le escursioni a terra o lo snorkeling sono rigidamente regolamentate. Ogni imbarcazione può far sbarcare i turisti in un determinato posto, ad un determinato orario, onde non far assiepare troppe persone in contemporanea nello stesso punto. A terra bisogna rimanere in gruppo e seguire i sentieri tracciati. Ovviamente non si possono lasciare rifiuti, non si può dare da mangiare agli animali, non si può fumare. La violazione di queste regole comporta l’incorrere in gravi sanzioni. Come ci spiega Julio il problema non sono i piccoli gruppi come il nostro, composto da persone sufficientemente motivate ed attente. Il problema sono i gruppi numerosi, dove immancabilmente ci si ritrova con qualche persona poco intelligente che fa la cosa sbagliata.

Bachas_Galapagos

 

Salpiamo subito per Las Bachas. E siamo subito in Paradiso. Una baia dalle acque cristalline. Pellicani che si tuffano davanti a noi per catturare i pesci. Granchi sugli scogli ed iguane sulla spiaggia!

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Julio ci accompagna attraverso un sentiero che costeggia la spiaggia e ci fa vedere il perché questo posto si chiami bachas. Dalla sabbia emerge un relitto, che è il poco che resta in realtà di due chiatte arenatesi qui al tempo della II Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti avevano tre basi navali il cui compito era impedire che l’Impero Giapponese potesse arrivare sulle coste della California: una alle Hawaii, una presso il Canale di Panama e la terza alle Galapagos. Le due chiatte (barges in inglese) furono abbandonate qui dopo essersi arenate. I locali non riuscivano a pronunciare correttamente la parola inglese “barges” e venne fuori il nome “bachas”.

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Dopo il relitto incappiamo in una classico avvallamento segno che una tartaruga di mare ha deposto le sue uova nei pressi. Poi arriviamo ad una piccola laguna con dei fenicotteri rosa. I fenicotteri rosa non sono comuni alle Galapagos. Ci sono solo qui e nell’isola di Floreana.

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Tornati alla spiaggia dove eravamo sbarcati ci godiamo il mare ed il sole. L’acqua è fresca, ma una volta dentro mi abituo velocemente. Non per tutti è così. Se siete freddolosi sappiate comunque che sulle imbarcazioni si possono sempre affittare delle mute.

 

Quando risaliamo a bordo l’equipaggio ci accoglie per un cocktail di benvenuto e per le presentazioni di rito. Le cabine hanno due cuccette a castello ed un bagno con doccia. C’è anche un armadio. Siamo più che comodi. Le navigazioni saranno sempre notturne. Non è il massimo per un riposo tranquillo, ma le distanze sono notevoli e solo così si possono ottimizzare i tempi. Le cabine sono distribuite su tre livelli: sottocoperta, all’altezza del ponte (la mia) e sul castello. Tra rumore del motore (soprattutto sottocoperta) e rollio accentuato (noi) si dorme poco e male. Ci sono comunque tante occasioni durante la giornata per schiacciare un pisolino e recuperare il sonno, per cui non ne risentiamo più di tanto. Ah… di notte si balla, anche parecchio. Se soffrite il mal di mare portatevi della xamamina.

 

15 Agosto – Galapagos (Genovesa)

Bachas_Genovesa

 

La meta del giorno di Ferragosto è la lontana e disabitata isola di Genovesa. Navighiamo tutta la notte per arrivare esattamente alle 6 del mattino, orario previsto per la nostra escursione a terra. Le Galapagos sono isole vulcaniche e Genovesa incarna alla perfezione questa origine. Gettiamo infatti l’ancora in una caldera allagata dal mare. Emergendo dalle cabine – dopo una notte in bianco per rumore e rollio – il colpo d’occhio su queste pareti a picco sul mare che ci circondano da ogni lato è stupefacente. Bando alle ciance, indossiamo i giubbotti salvagente e saliamo sui due tender per sbarcare. C’è una scala scavata nella roccia che permette l’ascesa all’isola. Ma siamo all’alba e sul gradino in basso dorme un lobo marino (li chiamano leoni marini, ma in realtà sono otarie). Non vuole spostarsi ed allora uno dei ragazzi dell’equipaggio lo costringe ad allontanarsi gettandogli dell’acqua davanti. Il lobo non gradisce. Si gira, si allontana e poi fa tutti, ma proprio tutti, i suoi bisogni sugli scalini 💩 E per fortuna che abbiamo le scarpe da trekking. Per la puzza invece non c’è nulla da fare 👃🏼

 

 Gli animali delle Galapagos hanno conosciuto l’uomo solo in tempi recentissimi e non sono abituati a temerlo. Mentre normalmente gli uccelli volano via quando ci si avvicina loro, qui non scappano affatto. E’ una atteggiamento stupefacente, che richiede una notevole dose di attenzione da parte nostra. Siamo spesso tentati di avvicinarci troppo, per scattare una foto in primo piano finanche col cellulare. Julio ci invita quindi ad essere cauti, perché se infastidiamo gli uccelli e li induciamo ad abbandonare un nido con le uova, poi loro non torneranno a covarle.

Il sentiero dove possiamo camminare si dipana sulla cima piatta dell’isola tra arbusti e piccoli alberi. Siamo letteralmente circondati da due specie di sule. A terra nidificano le sule pata negra, le sule dalle zampe nere (Sula granti). Se ne vanno in giro camminando, ti incrociano sul sentiero, si fermano, ti guardano… e restano così finché non cedi loro il passo! Sugli alberi invece nidificano le sule pata rocha, le sule dalle zampe rosse (Sula sula) che personalmente reputo più belle delle pata negra.

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Avvistiamo anche un gufetto che si nutre nelle ore diurne anziché di notte. Per fotografarlo è stato fondamentale il mio obiettivo Sigma 150-500 tanto era distante e nascosto in un anfratto. Ovviamente su tutte le isole sono abbondanti i fringuelli di diverse specie.

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Come potete vedere sopra, la giornata prevede uno snorkeling. Il tempo è plumbeo e l’acqua è fredda. Personalmente salto lo snorkeling, ma un gruppo ridotto affitta le mute ed ha le prime soddisfazioni: qualche lobo che nuota tra di loro. Il pomeriggio sbarchiamo sulla spiaggia. Anche qui effettuiamo una escursione tra lobos che sonnecchiano sulla rena, iguane di mare, granchi e nidi di fregate. Bisogna essere sempre vigili con i lobos. Se ci si avvicina troppo possono mordere.

 

16 Agosto – Galapagos (Isla Bartolomè – Isla Santiago)

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Dopo una notte meno in bianco della precedente – ci si inizia ad abituare alla navigazione notturna – arriviamo all’alba all’Isla Bartolomé, dove c’è uno dei panorami più fotografati delle Galapagos.

 

L’isola è piccola e brulla ma questo suggestivo promontorio che si protende verso la Isla Santiago merita l’ascesa al mirador.

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Complice l’orario dello sbarco, l’ascesa al belvedere è meno faticosa del previsto. Dopo esserci goduti il panorama ritorniamo ai tender, per scoprire che sugli scogli ci attendono una coppia di pinguini. Quelli delle Galapagos sono gli unici pinguini che vivono all’equatore. Julio, la nostra guida, ci spiega che esiste una corrente australe di acqua fredda che ne ha permesso l’arrivo. La colonia non è numerosa – anche se ultimamente si è allargata (leggete qui) – e ci dice Julio che bisogna essere fortunati per vederli. Questo evidentemente è l’anno giusto, o noi siamo molto fortunati, perché nuoteremo in compagnia dei pinguini sia la mattina che il pomeriggio. Quelli delle Galapagos sono piccoli, una cinquantina di centimetri di altezza. Solo quelli australiani sono più piccoli di loro.

Dopo colazione sbarchiamo in questa magnifica baia. L’acqua è cristallina ed i due pinguini di prima nuotano da un lato all’altro per pescare. A terra, come in tutte le spiagge delle Galapagos, i tafani sono abbastanza fastidiosi. Ma tanto noi vogliamo stare in acqua ed indossate maschera, boccaglio e pinne andiamo a circumnavigare il grosso sperone roccioso. Sott’acqua ci sono anemoni, stelle marine e grossi pesci colorati. E qualche lobo che nuota. Julio ci spiega che a causa della corrente detta El Niño (link a Wikipedia qui) quasi tutto il corallo è scomparso dalle isole. Peccato.

 

Dopo pranzo sbarchiamo a Sullivan Bay, Isla Santiago. Per prima cosa ci avventuriamo in un’escursione su un letto di lava abbastanza recente, centotrenta anni circa. E’ una lava nera ancora non erosa dagli agenti atmosferici. Al pari di quella del Kilauea, che vidi alle Hawaii, quando scorre questa lava è molto fluida e quindi ingloba molta aria. Ragion per cui una volta solidificata risulta molto porosa e leggera. E’ uscita una giornata splendida ed il sole brilla in cielo. Non vi dico quanto caldo si possa percepire qui sulla lava.

 

Ok, è ora di un bagno. Torniamo agli scogli e troviamo una nuova coppia di pinguini che trasformiamo nei nostri modelli fotografici. Fatte quel centinaio di foto sia con le reflex che con gli smartphone finalmente è ora di un bagno. Soliti maschera, boccaglio e pinne e la scena che mi si presenta una volta in acqua è: enorme tartarughone marino intento a brucare le alghe sott’acqua. Pinguino che nuota a pelo d’acqua. Altri due pinguini che lanciano richiami dagli scogli. E la mia compatta waterproof che decide di smettere di essere waterproof 😱 Riesco a scattare giusto qualche foto alla tartaruga prima di essermela giocata.

 

Risaliamo per cena – qui si cena sempre presto –  e poi la nave riparte per raggiungere l’Isla Santa Fè.

 

17 Agosto – Galapagos (Isla Plazas Sur – Ilsa Santa Fè)

Santiago_SantaFe

 

In realtà facciamo sosta all’alba presso una coppia di isole di fronte Santa Cruz, chiamate Plazas Sur. Su queste isole, oltre ad una colonia di lobos, vivono delle iguane terrestri. Queste iguane si nutrono di cactus, delle loro foglie e dei loro frutti. Uniche al mondo, sono in grado di mangiarne addirittura le spine. Non si arrampicano sulle piante però. Attendono pazientemente che il loro cibo cada a terra.

 

Julio ci spiega che a differenza delle iguane di mare, che hanno una coda piatta che permette loro di nuotare, queste ne hanno una tondeggiante e quindi non possono muoversi in acqua. I due tipi di iguana appartengono a specie diverse e quindi non si accoppiano tra loro. Anche se ultimamente c’è stata una notevole eccezione e ciò è accaduto. Sono nati una femmina e due maschi ibridi che si arrampicano sui fichi e che nuotano.

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Finita l’escursione si riparte per andare all’Isla Santa Fè. Gettiamo l’ancora in una bella baia dove ci portano a fare snorkeling tra le tartarughe marine. Poi ci si prepara per l’escursione. Dobbiamo sbarcare sulla spiaggia di fronte. Dove però è proibito mettere piede in acqua. Il motivo è presto detto. Dato che sulla riva si riposa una colonia di lobos marinos, sotto costa è zeppo di squali in agguato! Roba che a 500 metri ci si poteva fare il bagno, ma qui no!!! Comunque sia, sbarchiamo sugli scogli e gironzoliamo sulla battigia piena zeppa di lobos spiaggiati, impanati di sabbia e sonnacchiosi.

 

Poi facciamo un giro dell’isola. Qui vive una specie di iguana di terra differente da quella di stamane. Queste iguane sono molto territoriali, per cui se ne stanno ognuna per i fatti propri. Arrivando su una seconda spiaggia incappiamo in un’otaria che non ce l’ha fatta a sopravvivere all’aggressione di uno squalo. Attaccata al ventre è riuscita a portarsi a riva per morire sulla terraferma. La scena ci rattrista, ma sono i ritmi della natura che qui domina sovrana.

 

18 Agosto (Galapagos – Isla San Cristòbal)

SantaFe_SanCristobal

 

La mattina raggiungiamo la Isla San Cristòbal e sbarchiamo sulla spiaggia del Cerro Brujo.

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Anzi, prima di sbarcare, scorrazziamo sui tender per archi rocciosi e caverne che si aprono sulla punta del promontorio, con il Kicker Rock (la vedete meglio nella foto sotto) sempre sull’orizzonte.

 

Julio ci spiega che probabilmente tutta la zona tra la scogliera ed il Kicker Rock era un’unica enorme caldera poi collassata. Le distanze tra gli estremi di ciò che resta di questa bocca sono enormi e ci danno l’idea della portata delle forze che si sono sprigionate in un remoto passato nelle acque dell’Oceano Pacifico.

 

Il tempo non è un granché. Fa caldo ma il cielo è quasi sempre coperto. Un peccato perché la spiaggia è incantevole ed in pieno sole sarebbe ancora più bella. Questo però alla fine è un dettaglio perché comunque tra sabbia bianca abbacinante, lobos impanati nella sabbia ed un bagno in un’acqua favolosa restiamo più che soddisfatto di questo paradiso.

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Nel pomeriggio sbarchiamo sull’Isla Lobos, dove nidificano le bellissime sule pata azûr (Sula nebouxii).

Le sule dai piedi azzurri sono indubbiamente tra gli uccelli più belli delle Galapagos. Oltre agli incredibili piedi colorati tra l’azzurro e l’acquamarina hanno la peculiarità di essere monogame. Nel video sopra potete vedere il marito che porta alla moglie i rametti per costruire il nido e attua un’elegante danza per regalarglieli.

 

Risaliti a bordo ci spostiamo a Puerto Baquerizo. La sosta non è prevista nell’itinerario, ma il comandante dice che dobbiamo rifornire la cambusa. Ora… calcolando che quasi tutto l’equipaggio scende a terra e alla risalita nessuno porta vettovaglie, immaginiamo che sia stata una scusa per una sosta fuori programma. Magari l’equipaggio aveva voglia di mettere i piedi a terra. E sinceramente anche a noi non dispiace farlo, per cui accogliamo con entusiasmo la possibilità di sbarcare. San Cristòbal è una delle poche isole abitate nell’arcipelago. Nella cittadina di Puerto Baquerizo ci sono molti negozzietti di souvenir, qualche ostello e varie agenzie specializzate in escursioni. Facciamo qualche compera e ci rilassiamo tre due chiacchiere ed una birra.

 

19 Agosto – Galapagos (Isla Española)

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La prima escursione della giornata su Isla Española, a Punta Suarez, ci porta ad incrociare prima grovigli di iguane marine che attendono il calore del sole per entrare in attività. E successivamente piccoli di lobos nati appena il giorno prima che succhiano il latte dalle mamme. I resti delle placente sono ancora sulla rena.

Sull’isola poi non mancano albatros che covano le loro uova e falchi che dominano i cieli. Ah si… e ancora iguane 😁

 

Assistiamo anche ad una scena particolare – è Julio che incuriosito ce ne fa notare l’unicità. Tra gli scogli un airone della lava ha infilzato col becco un fringuello di Darwin e lo affoga prima di mangiarlo. Julio ci dice che la scena è del tutto inattesa ed una volta tornato in Italia l’ho caricata su YouTube per permettergli di poterla condividere con i ricercatori del parco.

 

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Nel pomeriggio andiamo a rilassarci nella Bahía Gardner, una spiaggia incantevole dove stendiamo i nostri teli per sonnecchiare un po’.

No. C’è maretta nella colonia dei lobos. Un maschio dominante rientra da una nuotata e scaccia i giovani che insidiavano le sue femmine. I quali trotterellano allegramente verso di noi. Che siamo costretti a traslocare per non venir asfissiati dall’intenso odore emanato dai lobos. Ah… mi sa che non ve l’ho detto. I lobos puzzano come pochi. Sarà il grasso, sarà che rigurgitano spesso, sarà l’urina, ma puzzano! Certo non siamo al livello dell’anno scorso alla colonia di otarie di Cape Cross in Namibia, dove ce n’erano a migliaia. Però anche qui, che sono in poche, puzzano. Quindi è meglio stare a debita distanza con teli e zaini.

 

20 Agosto – Galapagos (Isla Floreana – Isla Santa Cruz)

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La mattina sbarchiamo su Isla Floreana, a Punta Cormorant. Julio ci spiega che l’isola prende il nome da Juan José Flores, primo presidente dell’Ecuador, sotto la cui amministrazione l’arcipelago fu rivendicato. Le Galapagos sono famose grazie a Darwin ma oggettivamente sono isole brulle, povere di acqua ed abitate da animali poco attraenti. Erano utilizzate come punto d’appoggio da balenieri e pirati (avete visto il bellissimo film Master and Commander?) ma nessuna nazione le aveva mai colonizzate. Fu così l’Ecuador a farlo, battezzandole Arcipelago di Colón, Arcipelago di Colombo. Cristoforo Colombo, che navigò nell’Oceano Atlantico ma certo non nel Pacifico… Ah, la burocrazia. Inutile dire che nessuno le conosce con questo loro nome ufficiale.

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A Punta Cormorant vediamo (da molto lontano) altri fenicotteri rosa e le tracce delle tartarughe marine che da poco hanno deposto le loro uova.

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Ci spostiamo poi a Isla Santa Cruz, per sbarcare a Puerto Ayora, 5000 abitanti, la metropoli dell’arcipelago. Prima escursione, il Centro Darwin. Il Centro Darwin è in assoluto uno dei posti in cui è più semplice avere una visione globale delle varie specie di tartarughe presenti in tutte le isole. Gli uomini del parco infatti, per evitare che formiche e topi mangino le uova delle tartarughe, le raccolgono e le fanno schiudere nel centro. Poi ad 8 anni riportano le giovani tartarughe nel posto esatto dove avevano prelevato le uova. L’opera è meritoria e fondamentale visto che la popolazione si è contratta da duecentomila unità stimate a ventimila. In ogni isola vivono tartarughe di specie diverse, caratterizzate da carapaci dalle forme caratteristiche.

 

Il Centro Darwin è molto suggestivo e permette di osservare con facilità le tartarughe. Anche perché in natura questi animali vivono nell’interno delle isole, nelle zone di erba alta, dove se anche fosse possibile andare (ed i turisti non possono andare oltre le spiagge) sarebbe difficile scorgerle. Grazie a Julio abbiamo la possibilità di andare a visitare una fattoria all’interno dell’isola, all’interno della riserva El Chato. Qui le tartarughe sono libere ed immerse nel loro ambiente naturale.

Mentre a Puerto Ayora il tempo era clemente, all’interno pioviggina. Julio ci spiega che è una fortuna, perché è in queste condizioni che le tartarughe sono attive e si nutrono. Così possiamo rimirare questi preistorici giganti brucare l’erba e spostarsi lentissimamente. La cosa stupefacente è che conosciamo pochissimo delle tartarughe giganti. Ne esiste una sola specie alle Seychelles e tutte le altre vivono in queste isole. Nessuno sa esattamente quanto vivano. Si stima sui centocinquanta-duecento anni. Ci spiega sempre Julio che la parte scientifica dell’Ente Parco esiste da una trentina d’anni e quindi si conosce con esattezza l’età solo delle tartarughe più giovani.

 

Serata cocktail a Puerto Ayora. E’ la nostra ultima sera in queste isole fuori dal tempo…

21 Agosto – Galapagos (isla North Seymour)

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Escursione all’alba a North Seymour. Come sempre, ogni volta che sbarchiamo c’è sempre qualcosa di nuovo da vedere. Qui ci attendono le fregate in calore. I maschi gonfiano il gozzo per attirare le femmine. Non sono bellissimi? Tipo noi quando mettiamo delle cravatte sgargianti 😂

 

In tarda mattinata abbiamo il volo di ritorno per Quito. In tutta la crociera abbiamo avuto molto tempo da spendere a bordo, proprio per le ferree regole che governano lo sbarco dei turisti nel Parco Nazionale delle Galapagos. Ne ho approfittato per montare con iMovie il video che vedete sotto. Ho fatto tutto sull’iPhone: le foto, i filmati (a velocità normale, con moviola, in timelapse), le transizioni e le scritte in sovrimpressione, la sincronizzazione della musica. Ero molto ispirato… 😄

Come raccontavo in precedenza, il vulcano Cotopaxi era eruttato da una quindicina di giorni ormai. Dato che si trova a circa 140 km da Quito, la colonna di ceneri che si alza dal cratere era ben visibile al nostro atterraggio nella capitale.

 

La foto sopra l’ho scattata durante una sosta sulla strada per andare in albergo. Qui sotto potete godervi un time-lapse molto suggestivo del Cotopaxi in eruzione.

Il video originale è di Franklin Iza, ma l’ha pubblicato su Facebook e condividerlo fuori da quel giardino recintato è veramente arduo. Alla fine ho trovato una versione a qualità più bassa del video su Vimeo. Mancano i credit che si trovano sul video originale, per cui forse è una versione preliminare. Penso sia giusto mettervi il link al profilo Facebook di Franklin (qui) cosicché possiate guardarlo a piena risoluzione. Un caro saluto al signor Zuckerberg.

 

22 Agosto – Ecuador (Otavalo)

Dobbiamo partire la sera ma per oggi abbiamo inserito un’altra escursione. La nostra meta è il mercato di Otavalo. Purtroppo i mercati non si tengono tutti i giorni ed inserirli nel proprio itinerario non è mai facile. Di buon ora la mattina saliamo su un pulmino – questa volta non è bello largo come quello con cui abbiamo viaggiato in precedenza – ed accompagnati da Ivan Collantes facciamo una prima sosta in un’altra località dedicata all’Equatore. Questa località sulla Mitad del Mundo si chiama Quitsato ed è caratterizzata da un enorme meridiana, costituita da una piazza con un obelisco al suo centro, e con il vulcano Cayambe sullo sfondo. Il sito è un progetto no-profit della comunità locale il cui scopo è preservare aspetti cruciali delle conoscenze astronomiche delle culture pre-colombiane della regione. Il sito si sostiene economicamente con la vendita di libri e dvd dedicati all’astronomia e all’archeologia. Uno dei membri della comunità ci illustra il loro progetto di cambiare l’orientazione delle carte geografiche passando dall’orientazione Nord-Sud ad una Est-Ovest, geopoliticamente neutra visto che seguirebbe il corso del Sole (link qui).

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Riprendiamo il cammino per effettuare una seconda sosta ad Imbabura, dove ci godiamo la vista dal miralago. Da lì diamo un passaggio ad una ragazza vestita in abiti tradizionali che ci canta alcune canzoni della sua gente. E ci vende anche alcuni scialli tessuti dalla sua famiglia.

Arriviamo infine al mercato di Otavalo. Che è un mercato enorme dove poter compare tutto, ma veramente tutto, quello che uno avrebbe potuto comprare in qualunque altro posto dell’Ecuador, ma a prezzi inferiori.

 

Finiti gli acquisti ci fermiamo per pranzo presso una locanda sul mirador del lago Cuicocha. La vista è molto rilassante e ci godiamo il nostro ultimo pasto in Ecuador. Ho trovato anche un video che pubblicizza la locanda:

Dopo pranzo iniziamo il lungo rientro a casa, andando direttamente all’aeroporto di Quito per il volo Quito-Madrid ed il successivo Madrid-Roma.

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Ventitré giorni di viaggio, Ecuador e Galapagos. Un’avventura stupenda. Un grazie ad Andrea Marchesini, il capogruppo, che ha organizzato alla perfezione tutto l’itinerario. E ad ognuno dei membri del gruppo.

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