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Fa più per l’ecologia un’azienda commerciale che tante polemiche sulle trivelle

In questo periodo in Italia va di moda parlare (per finta) di ambiente, visto l’avvicinarsi del referendum sulle trivelle. La storia di questo referendum è atipica. Sembrerebbe che in passato si fosse tentata una raccolta di firme per poter presentare un quesito simile, raccolta che non ebbe successo. Poi ci fu un contrasto tra alcune regioni e l’esecutivo sui temi legati all’estrazione dei combustibili fossili. Queste regioni presentarono alcuni quesiti referendari che furono superati dal governo legiferando sugli argomenti trattati. Tutti i quesiti furono superati dalla legge, meno uno. Quello su cui ci si dovrà esprimere il 17 Aprile 2016 (link alla Gazzetta Ufficiale qui):
Indizione del referendum popolare per l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale». (16A01356) (GU Serie Generale n.38 del 16-2-2016)

E’ dal 2013 che nelle acque territoriali italiane (le famose 12 miglia) non possono più essere eseguite perforazioni marine. Lo potete vedere facilmente nella figura qui sotto (tratta da Il Mare – Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse, pagina 14, Ministero dello Sviluppo Economico, link qui)

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In questo limite sono già esistenti una quarantina di piattaforme che estraggono per lo più gas naturale (qui il link al sito del Ministero dello Sviluppo Economico dove c’è il dettaglio di ogni singola piattaforma). Il quesito referendario riguarda solo ed unicamente queste piattaforme, NON riguarda quelle fuori le acque territoriali (a tal proposito mi chiedo che senso abbia per i sostenitori del NO mostrare un prospetto delle aree di concessione per le esplorazioni di idrocarburi della Croazia visto che quel prospetto riguarda la zona in acque internazionali davanti la costa croata…) e NON riguarda le attività estrattive sulla terraferma. Queste nostre piattaforme insistono su dei giacimenti dati in concessione trentennale dagli anni settanta in poi. La legge prevede che alla scadenza di queste concessioni trentennali si possano concedere due proroghe quinquennali. Dopo questi ulteriori dieci anni complessivi si può concedere un’ulteriore proroga che dura fino all’esaurimento del giacimento. Il quesito referendario riguarda SOLO quest’ultima proroga.

Quindi se vincesse il SI, dopo al massimo quarant’anni di estrazione di gas, le piattaforme dovrebbero necessariamente chiudere. Se vincesse il NO – o se il referendum non raggiungesse il quorum – resterebbe facoltà ai concessionari di richiedere, se i benefici superassero i costi, anche l’ultima proroga.

Riassumendo, in caso di vittoria del SI:

  • NON bloccheremo nuove trivellazioni entro le 12 miglia, poichè già NON sono possibili per legge
  • NON bloccheremo trivellazioni oltre le 12 miglia, poichè il referendum NON le riguarda
  • NON bloccheremo le trivellazioni sulla terraferma, poichè il referendum non le riguarda
  • NON bloccheremo l’estrazione di petrolio, poichè il 90% delle nostre concessioni riguarda il gas

Ora voi vi chiederete perché anziché essere come sempre sintetico, io mi dilunghi a ripetere più volte gli stessi concetti. Lo faccio perché mi capita di aprire Facebook, o Twitter, o peggio la televisione, e di trovare argomentazioni a sostegno del SI o del NO che nulla hanno a che fare col referendum. Esempi?

Ci sono quelli che #iovotosì per salvare i delfini dalle maree nere. Ma se parliamo quasi solo di gas naturale e solo di un numero limitato di piattaforme, che c’entrano i delfini impantanati nel petrolio?

Ci sono quelli che #iovotosì per cambiare la nostra agenda economica. Ma a conti fatti la vittoria del SI impatterebbe sul 2% del nostro fabbisogno energetico. Potremmo perdere anzitempo diecimila posti di lavoro – dico anzitempo perché comunque i giacimenti non sono eterni – ed avendo da tempo rinunciato al nucleare, peggioreremmo di poco la nostra già abbondantemente svantaggiata bilancia commerciale. Ma di certo NON cambieremmo le politiche economiche attuali né verrebbe lanciato alcun segnale politico. Al contrario del referendum sul nucleare NON stiamo rinunciando ad una fonte di energia ma solo a produrre in proprio una minima parte del nostro fabbisogno energetico.

Ci sono quelli che #iovotosì per far cadere il governo Renzi e perché il caso Guidi dimostra che la lobby del petrolio è dietro il fronte del NO. Voi non ci crederete ma ne ho letti tanti che hanno scritto ‘ste cose! Poi magari vince il SI e scoprono che il voto referendario non è un voto politico ed il governo non cade. O che il caso Guidi riguarda dei giacimenti sulla terraferma (Tempa Rossa è un giacimento petrolifero sito nel cuore della Basilicata, link qui) e della banale corruzione e quindi quella vicenda NON c’entra nulla con il quesito referendario.

Ci sono quelli che #iovotosì perché bisogna sviluppare il turismo. Poi non ti sanno spiegare come mai sull’Adriatico, dove di piattaforme ce ne sono a bizzeffe, sia pieno di turisti. Il turismo andrebbe sviluppato ma anche se vincesse il SI non sarebbe quello a cambiare di una virgola la situazione.

Quella che invece andrebbe fatta è una seria riflessione sulla politica energetica del nostro paese e sul perché rimaniamo dipendenti dai combustibili fossili, petrolio o gas che siano. Perché uno potrà pure entusiasmarsi a dire #iovotosì per sentirsi la coscienza più leggera. Ma poi si ritroverà comunque a non aver cambiato nulla nella realtà. Al massimo anzi ad aver peggiorato la nostra dipendenza da nazioni con cui vorremmo avere rapporti più critici (pensate ai diritti umani in Arabia Saudita solo per fare l’esempio più banale).

L’Italia ha rinunciato all’energia nucleare ed al momento le famose fonti alternative non sarebbero in grado di fornirci abbastanza energia da sostituire i combustibili fossili. Non solo per una questione di efficienza, ma soprattutto perché gli italiani stessi impedirebbero la costruzione di tali infrastrutture. Non ci credete? L’Italia è un paese ventoso, pieno di coste. Pensate al vostro litorale preferito. Immaginatelo ora pieno di enormi pale eoliche. Inutile mentirsi: fareste di tutto per evitare un tale scempio. L’Italia è un paese assolato. Pensate alle campagne che percorrete normalmente per una gita. Immaginatele piene di pannelli solari. Di nuovo è inutile mentirsi: fareste di tutto per evitare che fosse devastato in tal modo. Non è possibile mantenere il nostro stile di vita con la scarsa efficenza energetica delle nostre infrastrutture. E’ un discorso vasto che spazia dall’illuminazione delle nostre città all’energia necessaria a dare rete dati ai nostri smartphone, dalla libertà di spostamento che ci garantiscono le nostre automobili alla produzione industriale. Insomma non è con un referendum che si cambiano queste cose ma modificando nel profondo le tecnologie su cui basiamo tutti i comfort che diamo per scontati nella nostra vita.

Mi pare quindi evidente che senza prima cambiare l’efficienza delle nostre infrastrutture sia quantomeno autolesionistico rinunciare anche solo in minima parte a fonti di energia presenti all’interno dei nostri confini. Chiuso quindi il discorso contingente sul referendum, vorrei aprire una riflessione più ampia proprio su questo tema: l’efficienza energetica delle nostre infrastrutture. Dico una cosa condivisibile quando affermo che è ovvio ed auspicabile che l’Italia riduca la propria dipendenza dalle fonti energetiche fossili. Perché finora lo ha fatto solo in misura marginale? I più ingenui vi risponderebbero con teorie complottiste sulle lobby del petrolio che condizionerebbero le scelte del governo (poi i governi s’alternano ma il risultato non cambia). I meno ingenui saprebbero che esiste una non meno agguerrita lobby verde (delle energie verdi, non di Greenpeace & co) che non è certo meno efficace della lobby petrolifera. Anche se magari molti non lo pensano, girano tanti soldi anche intorno alle cosiddette energie green. I problemi veri sono due. Uno di visione politica ed uno di visione industriale. A livello politico far sviluppare fonti energetiche diverse da quelle in uso richiede tempo ed investimenti. Fondi statali limitati e mancanza di visioni a lungo termine da parte della maggior parte dei politici portano a compiere scelte che guardano più al breve termine – sebbene la Conferenza di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico abbia spinto anche l’Italia a prendere impegni più vincolanti su questi temi. Poi c’è quello che ho definito come visione industriale. Cosa intendo? Le persone sarebbero contente di poter inquinare di meno. Se fermaste uno sconosciuto per la strada ed affrontaste l’argomento – che so? auto elettrica anziché auto a benzina – sicuramente vi direbbe che a parità di prestazioni e costi preferirebbe quella elettrica. Poi guardando le auto in strada non vedete auto elettriche, al massimo qualche rara ibrida. Perché?

Il motivo di fondo è appunto che nessuno vuole rinunciare a dei vantaggi. L’auto a benzina inquina ma ha un prezzo di acquisto accettabile, ha un’autonomia sufficiente a dare a tutti la libertà di fare una gita senza problemi, si rifornisce in poco tempo alla pompa di carburante, dispone di un’assistenza capillare in caso di rottura dei componenti. L’auto ibrida si basa sulla tecnologia di quella a benzina, pesa di più (ha due motori, uno per fonte di energia) e oltre una certa velocità l’efficienza elettrica è compromessa per cui passa automaticamente al motore a benzina.

A cambiare la carte in tavola proprio in questi giorni c’è stato un esempio eclatante di visione industriale: la presentazione della Tesla Model 3. La Model 3 (link qui) è la macchina elettrica più economica nel catalogo Tesla. Tesla per inciso è un’azienda di Elon Musk. Elon Musk è quello che ha fondato PayPal ed ha reso possibile il pagamento digitale. Quello che ha fondato SpaceX e che ha dimostrato che un razzo può riatterrare per essere poi riutilizzato. E quello che ha fondato Tesla Motors per dimostrare come sia possibile creare un’auto elettrica che non sia legata al vecchio paradigma di automobile a cui siamo abituati. La Model 3 parte da un prezzo base di 35000$. Specifiche? Ancora poco note. Consegna? Dalla fine del 2017 in poi. La volete? Potete prenotare uno slot per 1000$. Con questo slot, quando la produzione sarà in grado di soddisfare la vostra richiesta, potrete decidere se acquistare veramente la macchina o ricevere indietro i vostri soldi.

Ebbene in tre giorni sono arrivate 276.000 prenotazioni (qui il link al tweet di Elon Musk). Moltiplicateli per 1000$ e possiamo avere un’idea del finanziamento al buio che una (brillante) azienda che propone la summa dell’idea di auto ecologica, l’auto solamente elettrica, ha ottenuto.

Perché tutto questo entusiasmo? Per il cambio di paradigma che Tesla propone. Tesla propone un’auto adatta al nostro millennio: non inquina, non fa rumore, ha un sistema per la guida assistita (mantiene le distanze e la velocità in marcia), ha un software aggiornabile, si ricarica in tempi ragionevoli (sebbene ancora non ideali), l’azienda sta espandendo i suoi centri supercharger per rendere agevoli le ricariche nei paesi in cui vuole commercializzare la Model 3, ha prestazioni accettabili.

Questa vicenda ci fa capire che non solo esiste un forte sentimento ecologico da parte delle persone, perché di auto a benzina/gasolio con prestazioni superiori ne è pieno il mercato. Ma che le persone non vogliono rinunciare al loro stile di vita. E’ un approccio filosofico che i (finti) ecologisti che fanno propaganda referendaria in questo periodo non sembrano aver mai colto. Per fortuna che esistono visionari come Elon Musk. Non perdono tempo appresso ad inutili polemiche sulle trivelle, ma ci dimostrano che le sfide si affrontano di petto se vogliamo vincerle!

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