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Democrazia partecipativa

Viviamo un lungo, molto lungo, periodo di crisi della Democrazia rappresentativa. Non tanto per la legge elettorale, che è solo uno strumento. Rammento che da piccolo si votava un partito e si potevano assegnare varie preferenze. Esisteva un mercato di queste preferenze. Furono abolite e a non essere eletti furono i membri della società civile, della cultura. Coloro che avrebbero dovuto essere i fiori all’occhiello dei partiti. I politici di professione problemi non ne ebbero. Adesso che abbiamo le liste bloccate – lunghe o corte che siano – la questione non è mutata di una virgola.

La soluzione – posticcia, ma mi spiegherò poi – è stata per alcuni rifuggiarsi dietro il termine democrazia partecipativa. In un momento storico in cui ci si sente carenti di rappresentatività, si va in caccia della propria legittimazione giorno per giorno tramite gli strumenti messi a disposizione dal web. Grillo lancia un referendum online per espellere alcuni senatori del M5S. Civati ne lancia uno per decidere se votare o meno la fiducia al governo Renzi. E così via…

Le novità spaventano alcuni ma io reputo che siano sempre interessanti, che vadano provate, saggiate, valutate.

Fatto questo due criticità le voglio sottolineare.

Da un lato lo scarso approfondimento delle tematiche che questa soluzione comporta. Troppo spesso quando si lancia un sondaggio online, i partecipanti seguono l’istinto o le sirene mediatiche incarnate dalle figure dei leader che quelle tematiche sostengono. La superficialità imperante è un concetto molto diffuso e che mi sta per esempio allontanando dal social network per eccellenza: Facebook. Troppo facilmente vengono condivise notizie palesemente irreali, bufale. Troppa la gente che arriva a sostenerne la veridicità in base al solo titolo dell’articolo senza averne mai letto – o, peggio ancora, compreso – il contenuto. Troppo semplice mettere un like o scegliere un’opzione in un sondaggio online. Una scelta dovrebbe essere consapevole, ma ci stiamo abituando a premere il pulsante di un mouse e ad andare oltre senza riflettere.

Dall’altro lato c’è il comma 2 dell’articolo 4 della Costituzione.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Cosa vuol dire questo? Secondo le proprie possibilità e la propria scelta, non vuol dire che tutti per partecipare alla nostra Democrazia dobbiamo intenderci ed occuparci di redigere una legge. Vuol dire che io, all’interno dello Stato nel quale sono cittadino, se voglio partecipare al “progresso materiale e spirituale”, devo scegliere in che modo farlo, facendomi carico di quello che la mia possibilità e la mia scelta mi consentono.

Insomma fare politica, politica partecipativa, non è una cosa nuova, una conquista dei tempi del web. Pagare le tasse, combattere la mafia, occuparsi di migliorare il proprio quartiere, svolgere al meglio il proprio lavoro sono tutte componenti di una democrazia partecipativa. Come lo sono relazionare un disegno di legge o esprimere il proprio consenso o dissenso su questioni dirimenti in Parlamento. Se non ci bastano le cose più piccole di tutti i giorni – farsi fare la fattura dal professionista, non buttare le cartacce a terra, ecc. – anziché urlare sguaiati vaffanculo a questo e a quello, esistono migliaia di realtà associative e culturali tramite le quali migliorare il mondo che ci circonda. Costruire, non distruggere.

In soldoni esiste una sola democrazia, che è rappresentativa nel Parlamento e partecipativa nella vita di tutti i giorni. A tutti coloro che sanno solo lamentarsi di questo schifo chiedo semplicemente di rimboccarsi le maniche e di essere loro stessi da esempio, tutti i santi giorni, dell’esistenza di un paese migliore. Dal vero, impegnandosi concretamente a costruire, non dietro una tastiera. Senza la responsabilità personale di ognuno di noi, mai l’Italia diverrà un paese diverso da quello che è oggi. Perché quello schifo non sono marziani atterrati di nascosto sulla Terra o rappresentanti di una nazione che ci ha invaso. Ce li abbiamo messi noi e sono il frutto di tanti, troppi anni di malcostume. Tanti, troppi anni in cui la maggioranza degli italiani non ha incarnato tutti i giorni le regole dell’onestà e della convivenza civile. E’ ora di cambiare davvero.