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Dobbiamo difendere la nostra privacy

Raccolgo l’appello di Gabriel Weinberg. Weinberg è il fondatore di DuckDuckGo. DuckDuckGo a sua volta è un motore di ricerca che, al contrario di Google, non raccoglie le nostre informazioni personali per poi rivenderle.

We’ve all noticed those annoying ads following us around the Internet. That’s just the tip of the iceberg. Most people still don’t know that private companies build and sell profiles about them or that many retailers charge different prices based on these data profiles.

Come si dice in questi casi: se non paghi il prodotto, sei tu il prodotto! In cambio dell’utilizzo gratuito di alcuni software regaliamo la radiografia della nostra vita a degli sconosciuti. Perdendo il controllo di queste informazioni.

Quando se ne parla i più dicono: non ho nulla da nascondere. Certo, non hai assassinato nessuno. Ma questo non vuol dire che tu non possa ricevere dei danni dal mettere in mostra la tua vita. Potresti NON essere assunto in un’azienda per una foto goliardica su Facebook o vederti innalzare il premio di un’assicurazione perché dalla tessera del tuo supermercato risulta che acquisti troppi alcolici…

Senza contare la concentrazione in poche mani dei nostri dati personali. Zuckerberg possiede Facebook, Instagram e WhatsApp. Larry Page e Sergey Brin possiedono Google, Gmail, Maps. Gli algoritmi delle loro aziende scandagliano le nostre chat, le nostre mail, sanno dove andiamo con l’auto, chi sono le persone con cui interagiamo. Ci conoscono meglio del nostro partner e dei nostri amici. E se aveste qualche dubbio vi ricordo che Snowden ci ha rivelato che questi dati non sono per niente al sicuro, visto che anche l’NSA li legge tranquillamente grazie al programma PRISM.

We already put legal limits on financial, medical, military, transportation, telecommunications and agriculture technology. Why not online tracking? With digital technology making its way into more parts of our lives, and with our data quickly becoming more and more valuable, of course there should be some limits on online tracking!

Questo è il classico caso in cui il mercato non riesce a regolarsi da solo ed in cui sono i governi a dover intervenire. Per nostra fortuna l’Unione Europea è sempre stata abbastanza attenta alla privacy. Un po’ meno gli Stati Uniti, tanto che ultimamente ha fatto notizia un’infelice intervista di Barack Obama:

I fornitori di servizi europei che non possono competere con i nostri, stanno essenzialmente cercando di creare degli ostacoli perché le nostre compagnie non possano operare in maniera efficace in quei territori” “Noi abbiamo padroneggiato internet. Le nostre compagnie l’hanno creata, l’hanno estesa e perfezionata ad un livello che loro non possono raggiungere. E spesso ciò che viene rappresentato come frutto di una posizione di una mente elevata è in realtà un espediente per ottenere vantaggi di natura commerciale.

Weinberg conclude sottolineando come le opzioni a disposizione siano tante.

The question in the upcoming debate will quickly become: what limits? The status quo of collect it all and reveal as little as possible has to go, but there is a massive range between maximum possible collection and minimum necessary collection. Here are a few things we could do. Companies (and governments) could explicitly tell you what is happening to your personal information. They could allow you to opt-out. They could give you granular control of your data. They could even tell you exactly what you’re getting when you give out specific pieces of information. Disclosure requirements could mimic those in other areas like credit cards and mortgages where the most relevant risks are highlighted. In other words, there are a lot of options.

Trovo che l’opzione migliore sia quella in cui ci venga chiarito esattamente cosa riceviamo in cambio delle nostre informazioni personali. Varrà veramente la pena utilizzare la tessera fedeltà al supermercato? Potremmo scoprire che stiamo dando troppo per ricevere troppo poco…