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2019

Birmania

Nikon D5300 e Nikkor 18-200

Per il viaggio di capodanno 2019 ho scelto il sud est asiatico. E’ la mia prima volta in quest’angolo di mondo. Ed è la prima volta non perché non ne fossi incuriosito – Angor Wat o le sponde del Mekong sono posti che vorrei vedere da tempo. Ma per mere questioni climatiche. Ad Agosto, quando ho più settimane di ferie, l’afa la fa da padrona e questo mi ha sempre scoraggiato 😅
Ma la curiosità è sempre rimasta tanta e quindi alla fine mi sono deciso per un viaggio breve ma molto intenso… ma nella stagione secca! Caldo ma non eccessivo 🌞 Ho scartato – come spesso faccio – le mete più gettonate per il capodanno, come Thailandia ed Indonesia. Finché posso evitare di essere in mezzo a frotte di turisti, lo evito! 😎 E quindi ho scelto il Myanmar. Io poi continuo a chiamarla Birmania perché, quando impari un nome da piccolo risulta una forzatura cambiarlo da grande.

L’itinerario del viaggio

A questo punto risulta doverosa una nota storica. Birmania era il nome dato al paese dagli Inglesi in base all’etnia prevalente, i Bamar o Birmani che dir si voglia. Poi con l’indipendenza, anche per meglio valorizzare la varietà di popoli che compongono la nazione, il nome del paese fu modificato in quello tradizionale di Myanmar. La Birmania (io utilizzerò indifferentemente i due nomi) è composta di sette regioni, popolate prevalentemente dall’etnia Bamar. E da sette stati, popolati dalle principali minoranze etniche.

Sono tante le peculiarità della cultura birmana se uno la volesse approfondire. Una di queste sono i nomi delle persone. Di fatto manca il cognome e quindi non è facile capire i legami di parentela. Anche la settimana è divisa in modo originale. Infatti è divisa in otto parti, anziché sette. Questo perchè il mercoledì è suddiviso in mattina e pomeriggio!

A parte queste ed altre curiosità, il Myanmar è un posto tranquillo, accogliente e la popolazione è fantastica: educata, cortese, gentile.
Il Buddhismo pervade tutti gli aspetti della società e le cose che si incontrano sempre sono: i monaci buddhisti, le pagode, e le statue del Buddha. Per chiarirci, quando parliamo di pagode (dette anche paya) parliamo di due generi di costruzioni. Le stupa (dette anche zedi) sono quelle strutture a forma conica, edificate intorno ad un monte di terra (e quindi essendo piene, non sono accessibili al loro interno). I templi al contrario sono le classiche costruzioni dove è possibile entrare. I termini pagoda/paya e zedi/stupa si trovano spesso alternati ma l’importante è che sappiate che utilizzare l’uno invece dell’altro non cambia nulla nella sostanza.

Ultima peculiarità: noterete spesso che uomini e donne hanno il volto decorato da una specie di pasta chiara. E’ il Thanakha. Deriva dalla radice della omonima pianta ed ha la funzione sia di preservare la pelle dai raggi solari sia di lozione di bellezza.

26 dicembre

Abbiamo un piano voli perfetto. Partiamo la mattina presto da Fiumicino con la Qatar Airways. Sei ore di volo, breve scalo a Doha ed arrivo, dopo circa altre sette ore, all’alba a Yangoon (la vecchia Rangoon). Volando con la compagnia aerea del Qatar abbiamo una rotta diversa dal solito. La via classica sarebbe sorvolare il mediterraneo, l’Egitto e l’Arabia Saudita – o almeno con Emirates ho sempre seguito questa rotta. Ma a causa dell’embargo iniziato nel 2017 da parte dei paesi sunniti contro il Qatar, passiamo sui Balcani e sulla Turchia. Sono stato fortunato ad avere il posto sul finestrino così da potermi godere le vette innevate dei contrafforti europei, dell’anatolia e del Kurdistan.

27 dicembre

da Yangoon alla Golden Rock

Arriviamo quindi all’alba all’aeroporto di Yangoon. Recuperiamo il bagaglio, ci alleggeriamo – qui fa caldo, la temperatura media è sui 26 gradi – e con il pulmino del corrispondente locale andiamo a visitare la capitale. La capitale è una città moderna e, come tutte le capitali di queste nazioni, è cresciuta in maniera disordinata e caotica. Il primo tempio che visitiamo è la Botahtaung Pagoda. Ci dicono che è un tempio che ha perso la precedente importanza, ma per me è la prima volta in assoluto che entro in un tempio buddhista. In Birmania si entra rigorosamente scalzi nei luoghi sacri (scalzi vuol dire proprio senza ciabatte e senza calzini). In alcuni col biglietto d’ingresso forniscono una salviettina per pulirsi i piedi. Ma è meglio portarsene una scorta perché, lasciata Yangoon, sarà un servizio poco diffuso. Per entrare nei templi bisogna avere spalle e gambe coperte. Anche per gli uomini è meglio avere pantaloncini sotto il ginocchio. In alternativa si può indossare il classico longy – qui lo indossano tutti.
La caratteristica della Botahtaung Pagoda è lo stupa di 40 metri, vuoto all’interno. Vi ricordate che vi avevo detto che lo stupa è, per definizione, pieno?!? Ecco: fatta una regola, subito violata! Intorno allo stupa corre un corridoio completamente rivestito d’oro. Nel resto del tempio iniziamo a familiarizzare con le statue del Buddha di varie dimensioni. Dalle statuine ai colossi di vari metri.
Noto fin da subito tre cose che mi accompagneranno per tutto il viaggio: la consuetudine a versare l’elemosina, i selfie con la divinità o le sue emanazioni ed il kitsch. Andiamo con ordine. La religione buddhista invita ad aiutare chi è meno fortunato e, condizionato dal nostro egoismo che ci porta ad ignorare i questuanti, resto colpito da una signora che va a lasciare 1000 Kyat (si pronuncia chat), l’equivalente di cinquanta centesimi, a quattro vecchine sedute ai lati di uno dei passaggi del tempio. L’elemosina, che sia ai questuanti per strada o ai monaci buddhisti, diverrà una scena normale in questo viaggio. Poi c’è questa storia dei selfie. Ma a voi pare normale che l’attività principale dei ragazzi sembrerebbe farsi un selfie con un Buddha o un monaco sullo sfondo?!? Non che i monaci si esimano dal farsi loro stessi selfie col Buddha!!! Una cosa che ai miei occhi è parsa così strana… Anche perché ho sempre legato l’idea del Buddhismo ad un concetto di silenzio e meditazione. Beh… in Birmania si è liberi di far quello che si vuole nei templi. Per cui si alternano monaci in meditazione, devoti che pregano, scolaresche in visita, pellegrini chiassosi. Ah… ve lo anticipo. Qui quando si è in ferie si approfitta per fare un pellegrinaggio in un santuario o in un luogo sacro. Quindi tutti i templi che visiteremo saranno sempre pieni di birmani in visita, intenti ad offrire doni, preghiere o applicare foglioline d’oro sulle statue del Buddha. Ed infine c’è il mio problema col kitsch. Voi dovete capirmi… statua d’oro del Buddha con aureola illuminata da led cangianti. Un colpo micidiale al mio gusto estetico! 😂
Lasciamo la Botahtaung Pagoda ed andiamo a visitare l’imponente Shwedagon Paya. E’ la più grande della Birmania. Un po’ di numeri: lo stupa è alto 99 metri ed ornato da circa 27 tonnellate di foglie d’oro (più diamanti e pietre preziose). Custodirebbe otto capelli del Gautama Buddha e le reliquie di tre Buddha precedenti. Tra stupa e templi che lo circondano la struttura è enorme. E’ sia un tempio che un parco divertimenti e vi permette facilmente di osservare il classico monaco che medita e, a pochi metri di distanza, la scolaresca in visita che si fa la foto ricordo.

Terza tappa della giornata la Chaukhtatgyi Paya. Qui, sotto un vasto capanno col tetto in metallo, giace una statua del Buddha sdraiato lunga ben sessantacinque metri. La statua era in restauro e quindi coperta da impalcature. Comunque le sue dimensioni non possono che colpire.
Lasciamo Yangoon per spostarci nell’est. La nostra meta è la Kyaiktiyo Pagoda, più semplicemente nota come Golden Rock, a circa quattro ore di viaggio. E ora un po’ di leggenda mentre sferragliamo col nostro autobus verso la Golden Rock. Nell’XI secolo regnava il re Tissa. Era un re mago perché figlio di uno zawgyi, un alchimista, e di una principessa naga (termine che vuol dire serpente o drago). Al re Tissa si presentò un eremita che gli donò una importantissima reliquia: un capello del Buddha, capello che l’eremita teneva nascosto nella propria crocchia. L’eremita suggerì al re di costruire uno stupa per conservare la reliquia su un masso che ricordasse la testa dell’eremita stesso. Il re non si fece problemi! Trovò il masso adatto in fondo al mare e lo trasportò con una barca di legno fin sulla cima del monte Kyaiktiyo. A circa mille metri di altezza. Ve l’avevo detto che era un re-mago, no?!? La barca usata per trasportare il masso si trasformò miracolosamente in pietra dopo il trasporto ed il masso, grazie al capello del Buddha conservato nella stupa eretta sopra di esso, resta in bilico da allora sulla cima del monte!
Bene. Con i mezzi propri si arriva alla base del monte Kyaiktiyo. Poi da lì o si procede a piedi (ipotesi mai nemmeno sfiorata dal gruppo) o si sale su dei camion con i cassoni attrezzati al trasporto di persone. La Golden Rock è meta di un forte pellegrinaggio per cui questi camion si riempiono uno dopo l’altro. Noi però dobbiamo portarci appresso anche il bagaglio, perchè dormiremo presso il Golden Rock Hotel (link qui). Ma i bagagli tolgono posto a pellegrini paganti e per questo nessun conducente ci vuole far salire. Problema prontamente risolto: affittiamo un intero camion per la salita e la discesa del giorno dopo (mettete in conto che il cambio euro-kyat vi permette di strafare in Birmania). Il problema è che abbiamo perso tempo e rischiamo di perderci il tramonto. Ma con una bella corsa dall’hotel al santuario – una simpatica salita da farti dire: ma chi me lo fa fare! – riesco ad arrivare in tempo.
La Golden Rock merita sicuramente il viaggio. E’ lì, in bilico, tutta dorata, con sempre un nugolo di fedeli che appiccicano foglie d’oro alla sua base o che pregano. Ci sono famiglie che si preparano a passare addirittura la notte nel santuario. Per noi miscredenti occidentali tutta questa devozione è ammirevole.

28 dicembre

dalla Golden Rock a Nyaung Shwe

Lasciamo la Golden Rock per andare a visitare una ex capitale, Bago (o Pegu, qui tra nomi coloniali, nomi originali o nomi legati all’etnia locale, i toponimi dei posti cambiano così spesso da farti venire il mal di testa). Lungo la strada però troviamo l’occasione per effettuare alcune interessanti soste.
La prima è presso un villaggio dove estraggono la gomma dall’omonimo albero e la lavorano. Poi incrociamo i festeggiamenti per un matrimonio. Di fatto consistono in un chiosco coperto dove i novelli sposi invitano i passanti a fermarsi per mangiare e di una serie di potenti casse che sparano musica a tutto volume proprio per indurre i passanti a fermarsi! Effettuiamo poi una terza sosta lungo il fiume, dove stanno seccando al sole il pescato del giorno. Una delle classiche scene che, come già in passato in altri luoghi, mi ha sempre reso convinto di non comprare mai pesce secco dalle bancarelle 😬

La prima pagoda che visitiamo una volta giunti a Bago è la Shwemawdaw Paya. Ora stare a descrivere una per una ogni pagoda sarebbe una fatica immane. Sono tutte diverse ed originali ma sono anche tantissime. Ho tentato di utilizzare i nomi più comuni per designare, così da permettervi di ritrovarle facilmente sulle guide o sul web. Successivamente andiamo al Kawbawzathardi Palace (detto anche Golden Palace). Era il palazzo reale, tutto in legno. Bruciato fino alle fondamenta, è stato poi ricostruito. I mozziconi delle vecchie colonne sono stati appoggiati alle nuove: notevole. Terza meta: la Hintha Gon Pagoda. Poi visitiamo lo Shwethalyaung Buddha, che è un Buddha reclinato più piccolo di quello di Yangoon sebbene più famoso. E finiamo con il Kyaik Pun Paya, quattro Buddha seduti ai lati di una colonna quadrata. Alti trenta metri!!!

A questo punto anziché un albergo in cui riposarci abbiamo un bel trasferimento notturno fino a Nyaung Shwe. I giorni che abbiamo sono pochi e dobbiamo sobbarcarci due tratte notturne in bus per riuscire a vedere tutto quello che vogliamo. Forse a posteriori avremmo fatto meglio a prendere un volo aereo (un’ora contro circa undici) ma debbo dire che gli autobus sono attrezzati con sedili reclinabili, poggiapiedi e coperte. Non sono all’altezza dei Cama sudamericani (lì i sedili diventano proprio dei letti) ma alla mattina arriviamo forse non riposati, ma nemmeno a pezzi. Altra seccatura da mettere in conto è che arrivando all’alba, gli alberghi non hanno le stanze disponibili e tocca darsi una sistemata nei bagni del piano terra. Ripeto: non che sia un problema, ma abbiatelo ben presente se pensaste di concentrare tutte le mete di questo viaggio nei nove giorni che vi racconto qui.

29 dicembre

Oggi passeremo la giornata sul Lago Inle, di cui la cittadina di Nyaung Shwe funge da imbarcadero. Saliamo su tre lance fluviali e appena usciti dal canale che collega la città al fiume ci imbattiamo nei famosi pescatori che vedete in tutte le foto della Birmania. Ora… pescare è faticoso e sicuramente prendersi una mancia per posare davanti i turisti è meno impegnativo… però ci rimango un po’ male notando che questi pescatori si sono posti strategicamente all’uscita del canale e che iniziano a sollevare le nasse per farsi fotografare proprio per noi. Scatto qualche foto pensando che comunque più tardi ne vedrò altri meno “finti”. Errore! Gli unici altri pescatori che vedrò, pescheranno sempre con le classiche reti a cui siamo abituati senza badare a noi. Percorriamo vari canali lungo le sponde del lago ed approdiamo al villaggio di Inthein, villaggio che ospita un ricco mercato pieno di mercanzie e souvenir. Presso il villaggio sorge lo Shwe Inn Thein Paya. La struttura consiste di mille e cinquantaquattro stupa costruiti tra il XVII ed il XVIII secolo. Alcuni sono pericolanti ed altri sono stati restaurati. Inutile che tenti di descrivervi il fascino dell’esplorare le rovine che compongono questo splendido sito.
Lungo il percorso di ritorno ci fermiamo in un altro villaggio dove in un negozio di souvenir c’è una donna Kayan. Le donne del popolo Kayan fin dall’infanzia portano degli anelli d’ottone che, provocando uno slittamento della clavicola, fanno sembrare il loro collo allungato. Vengono per questo spesso chiamate donne-giraffa. Questa signora ha 72 anni e, come ci spiega la nostra guida, aveva indossato gli anelli fin da piccola per seguire la tradizione del suo popolo. La triste realtà odierna è che purtroppo le donne più giovani si sottopongono a questo rito solo per attirare i turisti alle loro bancarelle e non perchè veramente legate alla tradizione.

Pranziamo in un ristorante sul lago (qui tutte le costruzioni dei villaggi che visiteremo, escluso Inthein, sono su palafitta) e poi andiamo a visitare una fabbrica di tessuti. Cosa tessono? Loto e cotone. Si, avete letto bene. Dal gambo della pianta del loto si ricava una fibra tessile. Ci sono tutta una serie di signore anziane intente ad azionare telai e macchinari vari per portare avanti il lavoro.
Seconda tappa una fabbrica di tabacco. Uno dei riti tradizionali, specialmente delle donne anziane, è fumare i sigari locali. E qui le esperte mani di queste signore ne confezionano uno ogni quaranta secondi!
Terza tappa il Nga Hpe Kyaung Monastery, noto anche come Jumping Cat Monastery. Questo perchè in passato i monaci avevano addestrato i gatti a saltare attraverso dei cerchi. I monaci odierni hanno dismesso questa abitudine, per cui ora i gatti sonnecchiano. Però il monastero mantiene un suo fascino sia perchè costruito in legno, sia per la collezione di antiche effigi del Buddha che conserva al suo interno.

30 dicembre

Breve spostamento i barca perchè oggi faremo un trekking sulle colline a ridosso del Lago Inle per visitare i villaggi Pa’o che sorgono nei dintorni. La giornata è splendida e si rivela una delle più belle del viaggio.

Camminando lungo le stradine ci si può fermare per chiacchierare con i contadini intenti nel lavoro dei campi – chiacchierare tramite la guida, visto che nelle zone rurali pochi parlano inglese. Pranziamo in uno dei villaggi, villaggi dove – è bene sottolinearlo – non c’è nemmeno l’acqua corrente. Le persone lavano se stesse (avvolte da un telo) ed i panni sporchi alla fontana pubblica.Dopo ventiquattro chilometri di escursione torniamo sulle barche avvolti dalla luce dorata del tramonto sul Lago Inle.

31 dicembre

da Nyaung Shwe a Bagan

Prima di lasciare Nyaung Shwe visitiamo il monastero Shwe Yaunghwe Kyaung. E’ famoso per il suo antico thein, una sala delle ordinazioni dove studiano i novizi. Questa struttura è dotata di originali finestre ovali che la rendono molto scenografica, soprattutto quando i novizi si affacciano da esse.
Andiamo quindi a visitare Kakku. Che è un altro spettacolo. Una selva di piccole stupa che incorniciano il tempio centrale come una foresta. E nel lato est una piccola piscina dove le guglie degli stupa si riflettono sullo specchio d’acqua. Sulle guglie stesse sono appese delle classiche campane buddiste che risuonano con i refoli di vento.
Nel pomeriggio raggiungiamo le Grotte di Pindaya, un santuario costruito appunto in un sistema di grotte zeppe di effigi del Buddha. E quando dico zeppe parlo di circa ottomila statue di varia dimensione!
All’uscita visitiamo una fabbrica dei classici ombrellini di carta, produzione caratteristica di questi luoghi.

Dobbiamo quindi effettuare il secondo trasferimento notturno, ragion per cui il capodanno ci coglierà in viaggio. Tocca organizzarsi per festeggiare. Ora voi non lo sapete… e ovviamente nemmeno io lo sapevo… ma tempo fa un signore tedesco, un certo Bert Morsbach, si è trasferito in Birmania ed ha impiantato una vigna (link qui). E noi avevamo provato in precedenza il suo Aythaya Red Wine, uno shiraz. Beh… non era male… e quindi ne prendiamo quattro bottiglie per i festeggiamenti.
Poi gli autobus avevano appresso anche qualche fuoco d’artificio per cui, dopo aver accostato ad una decina di minuti dalla mezzanotte, abbiamo degnamente festeggiato il capodanno nonostante la logistica ci fosse avversa. Arriviamo all’alba a Bagan e prendiamo le stanze all’Amazing Bagan Resort (link qui). E vi assicuro che è proprio amazing 😉

1 gennaio

Ed il primo dell’anno l’abbiamo onorato visitando la splendida piana di Bagan. Ora un minimo di spiegazione, per inquadrare di cosa parliamo. Bagan era la capitale del primo impero birmano e fu distrutta dall’invasione mongola del Kublai Khan. La città era adornata da un vasto numero di templi piccoli, medi e grandi. Alcuni sono in rovina, altri restaurati in parte, altri mantenuti attivi ed aperti al culto. Si è liberi di girare come si vuole il vasto territorio di Bagan. In bici (attenti però perchè il sole picchia anche in questa stagione), in tuk tuk, in motorino (elettrico). Qualunque scelta effettuiate, sarà un’esperienza magnifica.
Non esiste un vero percorso, esistono templi più noti di altri, ma questo non vuol dire che per voi abbiano più fascino di quelli meno noti.
La nostra giornata comunque inizia con l’alba. Avrei voluto volare su una delle mongolfiere che si alzano alle prime luci del sole per godermi la vista dall’alto ma, ahimè, quando ho prenotato il viaggio i posti erano già tutti esauriti. Però anche lo spettacolo dei palloni aerostatici che si libravano sui templi all’orizzonte e sul cielo screziato dalle nuvole è stato appagante.

Giusto per la cronaca noi, facendo riferimento alla mappa dataci dal resort dove eravamo ospiti, abbiamo visto lo Shwe Zigon Zedi, Htilominio, il Temple complex, Ananda Temple, il Dhammayan Gyi Temple.


Abbiamo anche visitato una fabbrica di lacche – la produzione di lacche è una manifattura originale della Birmania e debbo dire che sono veramente molto belle.


A Bagan consiglio vivamente di prendere come voi almeno per un giorno una guida locale, perchè ci sono così tante cose da scoprire e da sapere che nessuna guida cartacea potrà trasmettervi nozioni a sufficienza.
Terminiamo la giornata godendoci il tramonto tra i templi.

Tramonto a Bagan

2 gennaio

Giornata senza guida locale che ci organizziamo da soli. Alcuni dei templi visitati: Gu Byauk Gyi, Thambula Temple, Paya Thone Zu, Lawka Nandar Pagoda, Naga Yon Hpaya, Shinpin Oaktama Pagoda, Shwegu Gyi Phaya, Thatbyinnyu. Visitiamo anche il mercato della cittadina di Bagan ed un villaggio incrociato lungo il percorso, villaggio dove o si coltivano i campi o si producono tessuti.

Per il tramonto invece abbiamo prenotato una crociera sul fiume. Spettacolo! Ceniamo sul presto e con un autobus ci spostiamo a Mandalay (si pronuncia mandalè). Dormiamo all’Hotel Marvel (link qui).

3 gennaio

da Bagan a Mandalay

Abbiamo una guida per Mandalay ed il tour delle ex capitali (ogni tanto venivano spianate da qualche guerra o incendio e ricostruite poco più in là). Visitiamo il Mahar Muni Pagoda Mandalay, uno dei pochi templi dove, con nostra sorpresa e disappunto, il sancta sanctorum è interdetto alle donne.
Poi andiamo al Monastero di Mahagandhayon. Digressione. Ogni buddista deve effettuare due periodi di noviziato in un monastero. La prima volta tra i dieci ed i venti anni e la seconda volta dopo i venti anni. Non esiste un obbligo né un periodo fisso di permanenza, i tempi sono a discrezione del novizio e del monaco, ma tutti si attengono a questo rito. Il buddismo, che qui è quello più conservatore, il Theravada, impone ai monaci di mangiare due volte la giorno: all’alba e a metà mattina. Il resto della giornata infatti deve essere dedicato alla meditazione. I monaci non possono possedere nulla salvo la tonaca, occhiali, cellulare (giuro! ne hanno tutti uno nella tunica!) e una ciotola per le elemosine. Ogni mattina novizi e monaci vanno in giro per raccogliere le elemosine (soldi e cibo), elemosine che portano al monastero. Lì dei volontari laici cucinano il cibo e quindi verso le dieci e mezza del mattina tutti i monaci si riuniscono nel refettorio per pranzare. Ora… la cosa è degenerata perchè frotte di turisti accorrono a guardare la cerimonia: i monaci ed i novizi si mettono in piedi su due file ed attendono di poter entrare nel refettorio. Il tutto tra due ali di folla fotografante – ed in alcuni casi elemosinante. Ecco… se avete occasione di andare in un monastero meno gettonato dalle agenzie turistiche sarebbe meglio, perchè la scena mi ha lasciato alquanto a disagio.

Andiamo a visitare Ava. Passiamo il fiume su una piccola imbarcazione e giriamo tra le varie rovine con un calesse: Bagaya monastery, Yandana Sinme Pagoda, Nan Myint Watch Tower, Me Nu Brick Monastery (molto bello).


Nel pomeriggio ci spostiamo a Sagain: Soon U Ponya Shin Pagoda e U Min Thonze Temple per poi andare a goderci uno spettacolare tramonto sul U Bein Bridge, un ponte di legno sul fiume (zeppo di gente).

4 gennaio

La mattina andiamo al mercato della giada. Non è una meta turistica – infatti nessuno parla inglese qui. Ci sono mercanti all’ingrosso e artigiani che contrattano ogni singolo pezzo da lavorare nei loro laboratori. Interessantissimo.

Poi prendiamo una barca per raggiungere Mingun. Qui doveva essere costruita la più grande stupa del mondo, il Migun Sayadaw Memorial. Ma la morte del re che voleva costruirla fermò i lavori ed i costi altissimi indussero i figli ad abbandonare il progetto. Dopo averla visitata andiamo alla Mingun bell, una enorme campana, per poi visitare la splendida e bianchissima Mya Thein Tan Pagoda. Veramente bella.
Tornati a Mandalay visitiamo la zona del palazzo reale con il Shwenandaw Monastery, tutto in legno. Lo Atu Ma Shi Monastery, l’ex palazzo reale trasformato in monastero. Ed infine la Khutodaw Pagoda.
E nel tardo pomeriggio prendiamo un aereo per Yangoon, dove passiamo la notte.

5 gennaio

Volo da Yangoon all’alba per Doha e poi per Fiumicino.