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2020

Cambogia

Nikon D750, Nikkor 24-70 e Nikkor 70-200

L’itinerario del viaggio

27 dicembre

Si parte il 26 dicembre dall’Italia per passare il pomeriggio del 27 a Bangkok – si dorme al Pas Cher Hotel (link qui). Prendiamo il traghetto che fa su e giù per il fiume visitando qualche tempio buddista e mangiucchiando un po’ di street food.

28 dicembre

Arriviamo la mattina all’aeroporto internazionale di Siem Reap. Raggiungiamo subito il nostro alberghetto, il Baan Soksan (link qui). Aperto da pochi mesi, è a due passi dalla via centrale di Siem Reap, Pub Street, e dal vecchio mercato, lo Phsar Chas. Facciamo un giro per il centro di Siem Reap, centro che è zeppo di locali notturni – ristoranti e pub – che la sera distrarranno le masse di turisti che di giorno visitano il complesso di Angkor.

Approfittiamo di queste ore pomeridiane per visitare l’Institute of Khmer Traditional Textiles (IKTT, link qui). A causa dei lunghi anni di guerra la tradizione della tessitura della seta in Cambogia era quasi svanita. Nel 1996, grazie a Kikuo Morimoto, un artista giapponese, fu fondata questa associazione grazie alla quale, seguendo la pratica tradizionale, l’industria tradizionale ha trovato nuova vita.

Subito dopo, seguendo lo stesso spirito, andiamo a visitare Artisan Angkor (link qui). Artisans Angkor è una società cambogiana creata alla fine degli anni ’90 per aiutare i giovani contadini a trovare un lavoro vicino al loro villaggio natale. È il frutto di un progetto educativo volto a fornire competenze professionali a comunità con opportunità educative limitate.

In entrambi i casi abbiamo l’occasione di vedere le tessitrici ai telai e gli artigiani lavorare di scalpello. E di accedere ai negozi dove ammirare – e volendo anche acquistare – l’eccellenza del loro lavoro.

29 dicembre

Big Circle

Dedichiamo il nostro primo giorno nel complesso di Angkor a visitare i templi più periferici – un tour che qui chiamano big circle per differenziarlo da quello in cui si visitano Angkor Wat ed Angkor Thom e che chiamano small circle.

Intanto chiariamo meglio cosa sia il Complesso di Angkor. Angkor è stata la capitale dell’Impero Khmer, sebbene non sia stata una città come noi siamo soliti intenderla. Era invece una vasta conurbazione a bassa densità, cioè gruppi di templi e di abitazioni intervallati da campi di riso che complessivamente coprivano una superficie di più di 1.000 km² (per avere un’idea dell’estensione, avete presente i cinque distretti che compongono New York?!? 😎), con una popolazione di diverse centinaia di migliaia di abitanti. Secondo tali stime Angkor fu perciò il più vasto sito abitato in epoca pre-industriale. I vari gruppi di templi furono edificati dai vari re khmer. Nell’Impero Khmer le regole di successione non erano ben definite (un po’ come nel tardo Impero Romano) ed alla morte di ogni re seguivano anni di guerra civile. Ogni volta che un pretendente sopraffaceva i suoi rivali e diventava re costruiva ex novo le strutture di culto ed il palazzo reale per affermare il proprio dominio. Spostando leggermente nella piana di Angkor la sede del proprio potere, senza però che le vecchie strutture fossero abbandonate. Un’altra particolarità dell’architettura Khmer è che le case ed i palazzi, incluso il palazzo reale, erano costruiti in materiali deperibili (legno, ecc.). La pietra era riservata ai templi, strutture che però non erano deputate ad accogliere assemblee di culto. I templi infatti venivano edificati per accumulare meriti spirituali ed erano destinati a dimora degli dei cui erano dedicati!

Un’ultima osservazione. Buona parte dei nomi che ho riportato per le località cambogiane li ho presi dalle targhe esposte nei pressi dei luoghi stessi. Tenete presente però che spesso sul web si trovano grafie diverse (per esempio una y al posto di una i) o combinazioni diverse (a volte un tempio è chiamato Phnom qualcosa anziché Wat qualcosa)… comunque nulla di grave per i motori di ricerca, che comunque trovano facilmente quello che state cercando 😉

Iniziamo quindi dal Banteay Srei, un tempio induista del tardo X secolo d.C. Il suo nome significa Fortezza delle donne ed è dedicato al dio indù Shiva.

Il tempio è costruito quasi esclusivamente in pietra arenaria. Il poco uso fatto dei mattoni è limitato esclusivamente ai recinti e a pochi elementi della struttura. Sopra gli architravi delle porte sono presenti diversi frontoni decorati con bassorilievi. Oltre ai frontoni, tutte le pareti sia interne che esterne sono fittamente decorate con figure che rappresentano scene di mitologia e scene tratte da racconti popolari.

Tappa successiva il Banteay Samre. Risalente alla metà del XII secolo è anch’esso un tempio induista, nello stile architettonico di Angkor Wat. Il suo nome, che significa cittadella dei Samré, deriva da quello di un antico popolo dell’Indocina.

L’East Mebon risale alla metà del X secolo. Presenta diversi elementi caratteristici dei templi-montagna khmer anche se l’elevazione complessiva è modesta rispetto agli standard successivi. In questo tempio vennero usati tutti i materiali caratteristici dell’architettura khmer: mattoni (per le torri), laterite (per i basamenti e gli edifici secondari), arenaria (per le statue, gli ingressi e come rivestimento del basamento centrale) e stucchi (come rivestimento delle torri, oramai perduti).

Il Ta Som invece è un tempio buddista del tardo XII secolo. Fu costruito dal re Jayavarman VII che lo dedicò al padre Dharanindravarman II (metto i nomi solo perchè non voglio essere il solo ad impappinarmi nel vano tentativo di pronunciarli con scioltezza 🤪). Il tempio ha una pianta che riporta su una scala limitata e semplificata la planimetria di complessi buddisti di Jayavarman VII più famosi, sebbene alla fine sia celebre per il suo scenografico (ed iper instagrammabile 📸) gopura orientale avvolto da un fico strangolatore. Per chiarezza un gopura è l’ingresso di un edificio. Ogni recinto di un tempio aveva tipicamente un gopura ad ognuno dei quattro punti cardinali. La loro pianta era spesso a forma di croce allungata lungo l’asse del muro del recinto.

Neak Poan è un tempio situato su un’isola artificiale – e anche lui fu fatto edificare nello stesso periodo del Ta Som da J7, abbreviazione che la nostra guida utilizzava per il re Jayavarman VII 😬 Il nome vuol dire il serpente intrecciato ed è legato al leggendario serpente Nāga situato alla base del tempio. Secondo alcuni studiosi il complesso sarebbe stato costruito per ricordare l’Anavatapta, un lago di cui molte leggende parlano e che dovrebbe trovarsi sull’Himalaya. In principio la costruzione era dedicata principalmente a luogo di culto per i malati. Si riteneva infatti che le acque del posto avessero dei poteri curativi basati sul fatto che quel luogo era stato edificato come punto di incontro dei “quattro elementi” (terra, aria, fuoco e acqua).

J7, star dei templi visitati oggi, edificò anche Preah Khan, che è uno dei complessi architettonici più estesi di Angkor. Una serie di gallerie rettangolari concentriche circondano un santuario buddista con una torre centrale, ma la disposizione è resa meno lineare, quasi caotica, dalla compresenza di edifici e templi induisti satelliti dello stesso periodo e da numerosi altri aggiunti in seguito. Se ci aggiungete che per buona parte gli edifici sono a pezzi o quasi e che molti alberi sono cresciuti sulle rovine, avrete una idea della scena. Avrei girato per ore in quel dedalo scomposto!

30 dicembre

Small Circle

Levataccia al mattino per andare con i tuk tuk a vedere l’alba ad Angkor Wat. Lo spettacolo è assicurato dai due piccoli stagni posti ai lati dell’ingresso del complesso, stagni in cui si riflettono le guglie del tempio.

Come sempre quando viaggi in questi periodi di alta stagione il vero problema è la folla di turisti che si assiepa in queste occasioni. Un muro umano aveva già occupato le prime file sul bordo dello stagno quando siamo arrivati (e non siamo arrivati tardi, garantito!!!). Arrivando praticamente a poggiare i treppiedi delle macchine fotografiche in acqua. Memore di una situazione simile vissuta all’alba ed al tramonto a Bagan in Myanmar, questa volta ho evitato di portarmi il treppiede. Sui tuk tuk sarebbe stato un ingombro inutile – già stavamo stretti così – ed in più non avrei avuto lo spazio per utilizzarlo.

Angkor Wat è sicuramente imponente e scenografico. Riassume alla perfezione due delle principali caratteristiche dell’architettura cambogiana: il “tempio-montagna” che si erge all’interno di un fossato a simboleggiare il Monte Meru (la montagna degli dei nella religione indù) e i successivi templi a galleria. Sono rimasto colpito dalla precisione con cui i corridoi principali del tempio siano allineati ai quattro punti cardinali. Impressionanti i bassorilievi posti nelle varie gallerie, raffiguranti diverse leggende della tradizione indù. In origine, rompendo il tradizionale shivaismo dei re precedenti, il complesso era stato dedicato a Vishnu. Per poi diventare un tempio buddista con il diffondersi di questa religione nell’Impero Khmer.

Dopo aver visitato Angkor Wat ci siamo spostati nel prospiciente sito di Angkor Thom, l’ultima delle capitali dell’Impero Khmer sorta nel sito di Angkor (indovinate fondata da chi?!? Ma una nostra conoscenza di ieri: J7 😎). Abbiamo passato quella che era la vecchia cinta muraria dal cancello sud, quello meglio conservato: il Tonle Om South Gate con le enormi quattro teste di Buddha che lo sormontano.

Al centro del sito sorge il Bayon Temple, un tempio-montagna centro del culto di stato di Jayavarman VII – di fatto questo tempio fu l’unico ad essere costruito principalmente come tempio buddista. Ovviamente qui nulla è per sempre e sempre e sotto il regno di Jayavarman VIII (J8 per non confondersi) il tempio fu convertito all’induismo 😬 Evito di raccontarvi come mi son divertito a zampettare tra un livello e l’altro del tempio-montagna. Ogni angolo nascondeva uno scorcio diverso ed affascinante!

Breve sosta alla Terrace of the Elephants, che prende il suo nome da numerose sculture di elefanti in parata che ne ornano il basamento. Forse era una “piazza d’armi” per le parate militari o le cerimonie religiose. Forse costituiva le fondamenta del palazzo reale – che come tutti i palazzi reali khmer era in legno e di cui quindi non è rimasta traccia. Non deve avermi colpito molto, visto che praticamente non l’ho fotografata 🤷🏻‍♂️

Lasciando Angkor Thom visitiamo il tempio-montagna di Ta Keo, tardo X secolo. Il tempio fu iniziato da Jayavarman V, figlio di Rajendravarman – non che siano notizie importanti, lo scrivo sempre per condividere con voi i nomi infiniti di questi re 😜 Ta Keo ha cinque torri santuario disposte a quinconce (cioè: come è rappresentato il numero cinque sulla faccia di un dado), che si ergono sul livello superiore di una piramide a gradoni di cinque piani circondata da un fossato, in una rappresentazione simbolica del Monte Meru.

Penultima tappa: Ta Prohm. Questo tempio fu costruito dal re Jayavarman VII come monastero buddista Mahayana e come università. Ma poi fu reso famoso perchè fu utilizzato dopo secoli come location cinematografica di Tomb Rider!!! 😎Indubbiamente l’intrico delle radici degli alberi che sono cresciuti tra le sue rovine lo rende estremamente suggestivo e misterioso. Non facevo altro che fotografarle!!! Ho dovuto smettere perchè il gruppo mi stava abbandonando lì 😂

Ultima tappa il Banteay Kdei, tempio buddista del tardo XII secolo. Il complesso è anch’esso in rovina, cosa che ce l’ho ha reso anch’esso alquanto affascinante.

31 dicembre

Kompong Khleang e Beng Mealea

Il programma della mattina prevede la visita del villaggio galleggiante di Kompong Khleang. Parliamo di una comunità sita ad una cinquantina di chilometri da Siem Reap sul Tonle Sap (Grande fiume dalle acque fresche o Grande Lago). Con Tonle Sap si identifica un sistema combinato tra lago e fiume che vanno a costituire il più grande bacino idrico di tutto il sud-est asiatico. Il Tonle Sap ha una caratteristica unica: le sue acque cambiano direzione due volte l’anno, arrivando ad innalzarsi fino ad un massimo di dieci metri nella stagione estiva a causa delle piogge monsoniche. Il Tonle Sap funge così da bacino regolatore del Mekong, situato com’è poco a monte del suo delta, impedendone rovinose alluvioni nella stagione delle piogge. Le case dei villaggi sulle sue sponde sono costruite o su alte palafitte o sono letteralmente rese galleggianti grazie a bidoni di benzina.

Quello che mi ha colpito appena scesi dal nostro bus all’imbarcadero è stato il contrasto tra l’enorme e scintillante tempio buddista e le baracche in legno precariamente abbarbicate sulle loro palafitte. Due giovani fratelli ci hanno caricato su una lancia fluviale e ci hanno scorazzato lungo il fiume. Abbandonato l’imbarcadero il fiume si snoda lungo campi coltivati, punteggiati qua e là da qualche casa di legno. Lungo il percorso abbiamo incrociato vari pescatori che, lavorando completamente in acqua, stavano sistemando le reti. Finché non siamo arrivati al villaggio galleggiante dove erano rimaste le donne, intente nelle faccende domestiche, ed i bambini. Un mondo povero ma dignitosissimo questo che scopriamo a pochi chilometri dalle ricche mete turistiche.

Tornati all’imbarcadero siamo attratti da delle musiche dal ritmo indiano che provengono dal villaggio di palafitte. Incuriositi ci inoltriamo per le sue stradine e ci imbattiamo in un paio di banchetti allestiti per altrettanti matrimoni. Sotto un tendone aperto si sono i tavoli e, sui fuochi, il cibo viene tenuto in caldo – e sventagliato per allontanare le mosche 😅 All’ingresso del tendone fa bella presenza una grande fotografia degli sposi. Mi era già capitato in Myanmar di imbattermi in uno sposalizio. E, come allora, gli invitati si alternano al tavolo durante la giornata – ho sempre immaginato che questo avvenga in base agli impegni lavorativi.

Seconda tappa della giornata: Beng Mealea, Stagno del Loto. Questo è un tempio nella stesso stile di Angkor Wat ma, al contrario dell’altro, è stato sistematicamente distrutto. Non se ne conosce il fondatore né il perchè sia stato smantellato. E’ comunque un tempio induista dedicato a Vishnu, sebbene vi si trovino scolpiti alcuni motivi buddisti. Lo si visita grazie a delle passerelle in legno e ci si perderebbe per ore al suo interno, affascinati dalle radici degli alberi intrecciate ai blocchi di arenaria.

Ci spostiamo poi a Preah Ko, Toro Sacro, nome che è stato attribuito al tempio a causa delle tre statue di Nandi, il toro bianco cavalcato da Shiva, che fronteggiano tre brevi scalinate per salirne il basamento. Il tempio è composto da 6 torri in mattoni, divise in due file di tre ciascuna, che si ergono su questo basamento in arenaria. E’ un tempio risalente a Indravarman I, quindi una testimonianza molto arcaica rispetto ai templi del complesso di Angkor. 

Per il tramonto ci spostiamo a Bakong, il primo tempio-montagna di arenaria costruito dai sovrani dell’Impero Khmer ad Angkor.

Finito il tour si torna a Siem Reap per l’ultima sera dell’anno. In queste ultime serate di dicembre, per sollazzare i turisti, Pub Street è stata trasformata in una discoteca a cielo aperto. Un palco con spettacolini ridanciani, casse musicali da svariati decibel, una confusione inverosimile. Dopo cena brindiamo al nuovo anno ai bordi di una Pub Street satura di gente e poi facciamo festa a suon di musica e cocktail con un gruppo di francesi presso un tuk tuk trasformato in bar 🍹

1 gennaio

da Siem Reap a Battambang

Lasciamo Siem Reap e facciamo tappa a Banteay Chhmar. Questo tempio fu terminato durante il regno di Jayavarman VII. A causa della sua collocazione alquanto remota e in prossimità del confine thailandese, il complesso ha subito pesanti saccheggi, in special modo negli anni Novanta dopo che la zona fu abbandonata dai Khmer Rossi. La struttura è abbastanza rovinata – anche qui resa affascinante dalle radici degli alberi che vi sono cresciuti in mezzo. Per fortuna sono ancora visibili alcuni dei bellissimi bassorilievi che lo adornavano, tra cui un Lokeśvara dalle molte braccia. Cos’è un Lokeśvara?!? Un Signore del Mondo nella traduzione letterale, che corrisponde al bodhisattva della grande compassione.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo la vicina Battambang – la Cambogia è uno dei tanti posti del mondo in cui le distanze si calcolano in ore anziché in chilometri, viste le condizioni delle strade 😬 Prendiamo delle stanze al Kingfy Hotel (link qui) ed andiamo a vedere una rappresentazione teatrale del Phrare Ponleu Selpak (link qui).

Come avevo già accennato per le associazioni che avevamo visitato a Siem Reap (l’IKTT e la Artisans Angkor) gli artisti di qualunque sorta venivano sterminati al pari degli intellettuali dai Khmer Rossi di Pol Pot. Anche in questo campo dopo la guerra sono sorte associazioni che hanno tentato di salvare quanto possibile delle tradizioni khmer e di creare ex novo scuole di arte. Lo spettacolo è molto carino. Si basa su tutta una serie di situazioni comiche supportate dalla mimica e dalla bravura atletica degli attori.

2 gennaio

Battambang e Phnom Sampov

Giornata dedicata a Battambang che inizia con una corsa sul bamboo train. Il bamboo train è un mezzo povero sfruttato dai contadini locali per spostare merci e persone che però da al turista la possibilità di ammirare le campagne locali. Di fatto parliamo di un carrello, mosso da un piccolo motore, che corre su un binario unico. Quando due carrelli si incrociano, quello meno carico viene scaricato e smontato per far passare l’altro.

La corsa inizia dalla periferia di Battambang e finisce in un piccolo villaggio dove è possibile acquistare qualche souvenir.

Dopo questa gita ludica era ora di un gesto atletico! E allora eccoci andare al Prasat Banan (o Phnom Banan o Wat Banan… vi ricordate quella premessa che avevo fatto sui nomi non univoci dei posti? Ecco, qui scegliete voi il nome che preferite 🤷🏻‍♂️). Il tempio fu fatto costruire nell’XI secolo da Udayadityavarman II (figlio di Suryavarman I – si, lo so, sono perfido nel copia-incollarvi questi nomi impronunciabili 😈). La struttura si compone di cinque torri che ricordano la disposizione dell’Angkor Wat. La gente del posto è addirittura convinta che sia  l’Angkor Wat ad essersi ispirato al loro tempio… Ma vi parlavo di un gesto atletico, no?!? Tocca salire trecentocinquantotto scalini – 3 5 8 – per arrivarci. Ovviamente noi “scegliamo” di farlo verso ora di pranzo perchè ci vogliamo male 😂 Comunque tranquilli, le fronde della vegetazione li tengono al riparo dal sole diretto.

Discesi dal tempio decidiamo di visitare le vicine grotte Bet Meas. Ora fate attenzione: in quella zona DOVETE rimanere sui sentieri. Ci sono ancora campi minati ☠️ Noi tra l’altro incontriamo proprio all’inizio del sentiero la guida della grotta che ci accompagna. Io ve lo dico: le grotte non sono nulla di particolare, ma la guida parlucchia inglese e ci tiene a mostraci tutte le rocce che assumono forme di animali. All’ingresso il tetto è un po’ basso e la mia craniata serve da monito al resto del gruppo 🤪

Lungo il sentiero notiamo una abitudine locale che proseguendo il viaggio in Cambogia vedremo molto spesso. Vista l’estrema indigenza della nazione qui i rifiuti si bruciano alle porte dei villaggi. Una bella zaffata di diossina e via ☠️

Tappa successiva Phnom Sampeu (o Sampov o Sampeau). Di per se sarebbe da sempre una zona di templi buddisti. Ma in realtà dalla fine della guerra è anche meta di pellegrinaggio perchè nelle grotte sul monte (killing caves) venivano gettati i cadaveri dei prigionieri dei Khmer Rossi. Questi poveretti, dopo essere stati arrestati e torturati venivano uccisi a bastonate per risparmiare i soldi dei proiettili ☠️ Scendendo in una delle grotte troviamo un tempietto con una teca piena dei crani di alcune delle vittime del brutale regime di Pol Pot.

3 gennaio

da Battambang a Phnom Penh

Si parte per Phnom Penh. Duecentocinquanta chilometri, una giornata di viaggio in bus. Le strade della Cambogia… 😬 Ci fermiamo lungo la strada per visitare la vecchia capitale Oudong. Di fatto qui ci sono da vedere gli stupa del Phnom Preah Reach Trap (collina della fortuna reale) e, ai piedi del colle, il Sontte Wan Buddhist Meditation Center. Tutti molto belli.

Finalmente al tramonto arriviamo a Phnom Penh e subito veniamo intruppati per una dimenticabile mini crociera sul Mekong. Poi finalmente prendiamo le nostre stanze al centralissimo Silver River Hotel (link qui). Troviamo anche il tempo di fare un giro nel mercato, sebbene sia quasi ora di chiusura. Prima non l’ho raccontato ma da queste parti mangiano gli insetti. E gli scorpioni. A Siem Reap, a Phnom Sampeu e qui era possibile assaggiarne. Alcuni del gruppo lo hanno fatto (dicono che lo scorpione non sappia di niente, mentre alcuni grilli fossero buoni). Personalmente mi sono astenuto dall’assaggiare queste “prelibatezze” 😎

4 gennaio

Il Palazzo Reale e Tuol Sleng

Dobbiamo partire la sera, ragion per cui decidiamo di vedere subito il complesso del Palazzo Reale e la Silver Pagoda (il cui nome in realtà sarebbe Preah Vihear Preah Keo Morakot 😬).

La sala del re – che può essere ammirata solo dalle finestre – mostra tutti gli arredi dorati, dalle sedie al tavolo a qualunque altra cosa. In una galleria tra il Palazzo e la Pagoda c’è un affresco stupendo che racconta della epopea indiana del Ramayana. La Pagoda invece deve il suo nome a 5000 piastrelle d’argento del peso di 1 kg ciascuna che ne formano il pavimento e contiene i doni di stato ricevuti di re khmer.

Poi con i tuk tuk ci spostiamo al Tuol Sleng Genocide Museum (link qui). La struttura era un complesso scolastico di quattro edifici che fu riconvertito dai Khmer Rossi nel loro principale centro di detenzione e tortura. Una audioguida accompagna il visitatore lungo un percorso che si snoda attraverso i quattro edifici. Alcune delle strutture sono state riadattate per consentire ai visitatori di fruirne con maggior agio. Altre sono state lasciate quasi come furono trovate. Quando i vietnamiti invasero la Cambogia ed arrivarono a Phnom Penh non avevano contezza del genocidio commesso da Pol Pot. Tuol Sleng era stata quasi svuotata dai prigionieri e buona parte delle guardie era fuggita. Rimanevano sette disgraziati incatenati ai letti delle stanze di tortura. Le guardie rimaste, prima di fuggire, per non farsi scoprire dal rumore delle armi da fuoco, li uccisero a mani nude poco prima dell’arrivo dei soldati nella prigione. Quei sette sono stati sepolti nel giardino del complesso sotto sette lapidi bianche. Tutto ciò che fu trovato a Tuol Sleng, compresi i graffiti sui muri fatti dai disperati che lì venivano torturati fino a tre volte al giorno, fu utilizzato come prova nei processi in cui furono condannati i responsabili di questa barbarie. Quello che più lascia sconvolti alla fine della visita è come una ideologia abbia potuto cambiare un popolo che si mostra sempre pacifico e sorridente – oserei dire spesso ingenuo – per portarlo a compiere crimini così nefasti.

Ma non voglio chiudere questo diario con un messaggio di dolore. Il popolo khmer ha sofferto molto ma le persone che ho avuto modo di conoscere si sono sempre dimostrate squisite e disponibili, sorridenti e laboriose. Difficile dimenticare lo splendore delle rovine di Angkor e le tante emozioni di questo breve viaggio. Un salitone a tutto il gruppo 🤙🏼