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Il centro della Terra

Forse questo post non interesserà nessuno, ma personalmente sono sempre stato affascinato dal centro della Terra. Sarà per l’omonimo romanzo di Julius Verne, sarà per pura curiosità di conoscere l’inconoscibile.

Leggevo sul sito del Corriere della Sera che sull’ultimo numero di Science è uscito un’interessante articolo che cambia le teorie fin quì vigenti sul nocciolo del nostro pianeta.

La vecchia teoria sull’interno della Terra lo descrive fatto a strati concentrici come una cipolla: crosta, mantello e nucleo, con materiali a densità, pressioni e temperature crescenti. E si ipotizzavano per gli strati via via più profondi composizioni chimiche singolari: Sial (silicio e alluminio), Sima (silicio e magnesio), Nife (nikel e ferro). Gli studiosi di Scienze della Terra dell’Università dell’Arizona mettendo insieme anni di studi e modelli sull’interno del nostro pianeta (effettuati non soltanto da loro stessi), ci consegnano uno spaccato per niente schematico, fatto di ammassi caotici di particolari combinazioni mineralogiche. La rivoluzione più sconvolgente sta nel mantello, quello strato spesso circa 2900 km, stretto fra la sottile crosta rigida (50 km appena) e il grande nucleo terrestre (3400 km di diametro). Le miscele di silicati, a temperature fra i 2 mila e i 3 mila gradi, che costituiscono il mantello, spiegano gli esperti, non sono distribuite in maniera omogenea. Nelle zone più profonde del mantello, infatti, sono stati scoperti due enormi grumi di materiali ad elevata densità la cui origine è ancora poco chiara. “Sono come due cumuli spessi alcune centinaia di km e posizionati l’uno in corrispondenza dell’Oceano Pacifico centrale, e l’altro fra l’Atlantico e l’Africa”, spiegano Ed Garnero e Allen McNamara, i due sismologi della Arizona State University’s School of Earth and Space Exploration. I due ricercatori americani dell’Arizona hanno chiamato queste strutture cumuli termochimici e ipotizzano che si siano formati a causa della compattazione degli atomi di silicio, magnesio e ferro sotto le enormi pressioni esistenti al fondo del mantello. Esperimenti condotti in laboratorio, con apparati in grado di riprodurre pressioni molto elevate, hanno permesso di ricreare il minerale costitutivo di questi ‘cumuli termochimici’ che è stato battezzato post-perovskite.