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Il commercio nel quartiere

Ieri sera, rientrando da una pizza con tanti altri giardinieri ho trovato nel portone questo manifesto.

appello_commercio

 

Oggi ho visto che è stato affisso in giro per il quartiere. Stesso manifesto. Nessuna firma. L’appello di per se è anche ragionevole. Ma non considera una grande debolezza culturale dell’offerta commerciale del quartiere.

Facciamo un passo indietro. Quando venni a vivere qui tutti eravamo nuovi di questa zona e continuavamo a servirci dai negozianti presso le nostre vecchie case o vicino al luogo di lavoro. Poi con gli anni, soprattutto con la nascita di tanti bambini che hanno cambiato le priorità delle famiglie, molti abitanti hanno iniziato a prediligere i negozi sotto casa.

E allora qual è il problema? Sono troppo pochi coloro che si servono dei negozi del quartiere? Non essendo in una zona di passaggio – tipo Viale Marconi o la Via Tuscolana – difficilmente le attività commerciali da noi potrebbero raggiungere il giro d’affari di quelle realtà. Ma nemmeno possiamo considerarle disertate dalla clientela.

E’ la filosofia dell’offerta  commerciale stessa ad essere il problema. Le varie attività sono ridondanti e nel tempo arrivano a farsi concorrenza a vicenda.

Mi spiego con qualche esempio. I negozi di casalinghi. Abbiamo Tante Cose a Via De Lullo che ormai è un negozio storico, il supermercato sempre pieno, più qualche altra attività che volendo fornisce prodotti assimilabili a quel settore. E proprio in questi giorni ha aperto un nuovo negozio di casalinghi a Via Cacini. Al civico 68 per la cronaca.

In passato dinamiche simili si sono viste in altri settori. C’è il bar. Apre la pasticceria. Il bar allora offre anche lui una sezione di pasticceria. E la pasticceria inizia a servire il caffè.

E così via. Con un minimo di spirito d’osservazione si può notare come ci sia la tendenza a differenziare la propria offerta commerciale in settori già coperti da altre attività del quartiere.

Il mercato da cui attingere non si espande con il proliferare delle stesse attività commerciali. Tutt’altro. Se prima fossero stati in tre a dover mangiare da una torta, ora sarebbero in quattro. Con il rischio che il nuovo entrato non riesca a ricavare abbastanza per sopravvivere. E che ciò che nel frattempo resti agli altri possa non essere abbastanza, portando anche alcuni di loro alla chiusura.

Il risultato sarà quindi l’impoverimento commerciale del quartiere, anche a dispetto di una fetta di abitanti – sono tra questi – che preferiscono spendere i propri soldi nel quartiere piuttosto che altrove.

Mi dispiace che il manifesto non sia firmato. Sarebbe stato interessante capire se dietro ci sia un singolo commerciante o un gruppo di persone, così da poter avviare una riflessione pubblica e magari poter indirizzare lo sviluppo commerciale del quartiere verso un futuro meno asfittico.

PS

E comunque è mai possibile che nessuno riesca a capire che questo posto si chiama Giardino di Roma e non Giardini di Roma o Quartiere Caltagirone?!?