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IL FOTOREPORTER AL LAVORO IN AREE A RISCHIO di Pier Paolo Cito

Marzo 2019 a Roma è protagonista di una manifestazione organizzata da FARO, Associazione senza scopo di lucro che unisce fotografi professionisti, operatori del settore e amanti della Fotografia della città di Roma: il Mese della Fotografia di Roma (MFR2019). Durante questo mese, con maggiore concentrazione nei weekend, i visitatori potranno partecipare gratuitamente a mostre, incontri con gli autori, momenti didattici, seminari ed altri eventi legati all’arte della fotografia analogica e digitale. L’idea di fondo è che l’unione delle forze e il lavoro collaborativo (e non concorrenziale) tra gli operatori del settore, possa portare in tempi brevi a trovare idee migliori per raggiungere migliori risultati. Sul sito (link qui) o sulla pagina Facebook (link qui) trovate il calendario degli eventi.

Pier Paolo Cito (link al suo sito qui) è da oltre vent’anni un fotoreporter dalle cosiddette aree a rischio, un simpatico eufemismo per non chiamarle subito col loro nome: zone di guerra. Vanta una lunga collaborazione con Associated Press ed ha lavorato sia autonomamente in varie parti del mondo (Israele, Palestina, Kosovo, Montenegro, Libano, Etiopia, Iraq, Libia, Nagorno-Karabakh) che embedded (quindi inserito come giornalista nei ranghi delle truppe al fronte) con le forze statunitensi in Afghanistan. Sono andato a questo incontro organizzato dal Mese della Fotografia a Roma pieno di curiosità. Siamo infatti abituati a vedere scene cruente in televisione o sul web, scene di combattimento o di profughi in fuga. Siamo così catturati da quello che vediamo che, troppo spesso, ci dimentichiamo che quelle foto non si scattano da sole ma che ci sono persone che rischiano – e a volte perdono, ahimè – la loro vita per raccontarci con parole o immagini quello che succede nel mondo.

Cito è stato chiaro in questo. Si rischia la vita – è un dato di fatto – e per minimizzare il rischio occorre essere ben preparati. Fare i compiti a casa prima di partire. Fisicamente: se vuoi salvarti la vita spesso devi correre a perdifiato. Culturalmente: un gesto sbagliato per il contesto sociale in cui sei inserito potrebbe metterti in difficoltà (per esempio, prendere il cibo con la mano sinistra nella cultura islamica è un affronto). Logisticamente: avere un supporto in loco che abbia i contatti utili alla bisogna, avvertire dei propri spostamenti i colleghi o l’ambasciata per far scattare repentinamente un allarme in caso di difficoltà. E poi ci ha parlato di tante, tante altre cose a cui nella nostra vita di tutti i giorni non penseremmo mai… tipo a pianificare come scappare rapidamente dalla propria casa! Perchè nella nostra vita di tutti i giorni la possibilità che la nostra casa venga bombardata non è un’opzione neanche mai presa in considerazione… per fortuna aggiungo!

Non parliamo poi del difficile ruolo del giornalista in questi posti del mondo. Posti dove la legalità è una mera finzione, dove occorre sempre avere le “antenne dritte” per tentare di distinguere tra realtà e finzione, tra una mezza verità ed una sfacciata bugia. Tanti esempi e tanti racconti di una persona che MAI si è sentita un “Rambo” ma che ha sempre provato a svolgere al meglio la propria professione.

Per me – ma forse per tutti – la parte più emozionante è stata quella del racconto dietro la foto. Il tempo era tiranno e Cito ci ha potuto fare solo pochi esempi. Ma ognuno di questi racconti ha rapito la nostra attenzione per la carica umana sia del nostro reporter, sia delle persone con cui è rimasto in contatto. Sono state due ore dense ed emozionati che mi sono rimaste scolpite dentro.

CategoriesFotografia