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La camera chiara

di Roland Barthes

Roland Barthes è stato uno fra i maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista. Lo strutturalismo in estrema sintesi è quel movimento che, sviluppatosi soprattutto in Francia durante gli anni sessanta, estese le teorie e il metodo dello strutturalismo linguistico all’antropologia, alla critica letteraria, alla psicoanalisi, al marxismo e all’epistemologia. Ma io non sono un filosofo, per cui mi sono accontentato di questa definizione e mi sono lanciato con una certa baldanza nella lettura de La camera chiara… Bene. In sintesi questo celebre libretto, sono neanche 130 pagine, è una lunga riflessione sulla fotografia. Lo si può suddividere in due parti. La prima parte racconta un po’ la storia della fotografia ed offre alcuni suggerimenti sulla lettura della stessa. La seconda parte è una riflessione sulle emozioni che le fotografie suscitano, ed è molto più personale, dato che Barthes spesso fa riferimento al coinvolgimento emotivo suscitato in lui da alcune fotografie. Non è un libro che si legge facilmente, richiede concentrazione. E, secondo me, non bisogna nemmeno farsi un cruccio se non si comprendono tutte le enunciazione di Barthes. Però, per chi ama la fotografia, può essere una lettura interessante.

Per farvi un esempio, parlando di ritrattistica mi sono soffermato a lungo su una riflessione, che ho trovato acuta e profonda. Ve la riporto: La Foto-ritratto è un campo chiuso di forze. Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda che io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.