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La sostenibilità dell’editoria online

C’è un interessantissimo articolo di Rivista Studio che si intitola Troppe parole per nulla? e che parla della sostenibilità dell’editoria sul web. E’ un argomento di scottante attualità. Lo è per chi pubblica in lingua inglese, quindi con un vasto bacino d’utenza. Ancor di più quindi qui da noi in Italia, che contiamo su numeri di lettori potenziali molto più contenuti. La premessa d’obbligo è che il declino del giornalismo classico italiano rende sempre più importante un canale – il web – svincolato dai molti costi della carta stampata. Se pensate che sia eccessivo definire il nostrano giornalismo classico in declino, vi invito a leggere questo articolo di Luca Sofri da cui traggo il seguente, tragico, trafiletto:

Oggi il Comitato di Redazione (l’organo sindacale dei giornalisti) del Giornale dell’Umbria ha reso pubblico il seguente comunicato:

«Il comitato di redazione anche sulla scorta delle numerose e vivaci segnalazioni giunte da parte dei colleghi, censura in maniera totale la decisione assunta dalla Direzione in data 12 ottobre 2015 – per altro in via autonoma e senza previo confronto con il Cdr stesso – di attivare l’iniziativa “Caccia all’errore”. La suddetta iniziativa, secondo il Cdr, lede in maniera evidente la professionalità, l’onorabilità e il decoro del corpo giornalistico della testata e rischia di arrecare un grave pregiudizio alla stessa. Per questi motivi viene chiesta l’immediata cessazione della rubrica da parte della direzione».

L’iniziativa che “lede in maniera evidente la professionalità, l’onorabilità e il decoro” dei giornalisti mette in palio ogni giorno cinque abbonamenti annuali in favore dei lettori che trovano e segnalano errori e refusi stampati sul giornale.

Anche il sindacato umbro dei giornalisti si è unito al CdR del giornale affermando che si tratta della “iniziativa più  offensiva e dequalificante per i giornalisti di una testata che ci sia mai capitato di vedere”, che “sa tanto di caccia alle streghe, di gogna, di lista di proscrizione”.

E’ ovvio che esistano anche molte eccezioni a questo corporativismo incapace di confronto e critica. Ma pochi e coraggiosi professionisti sono e restano mosche bianche, visto che nell’esempio riportato si sono coalizzati il comitato di redazione di un giornale ed il sindacato regionale della categoria per negare ai lettori il sacrosanto diritto ad un’informazione corretta.

L’editoria online permette quindi di pubblicare articoli di qualità con costi inferiori a quelli classici. Ed è spesso più attenta al rapporto con i lettori, dato che basa su di essi e sulle loro condivisioni sui social network buona parte della propria diffusione. Ma costi inferiori non vuol dire non averli dei costi, anzi. I costi ci sono, più bassi sicuramente, ma ci sono. Quello che latita è la possibilità di ricavare un utile che renda profittevole un’impresa di editoria online. Al momento il modello di sostenibilità è qualcosa ancora da trovare. Nessuno infatti è ancora arrivato al pareggio operativo.

L’editoria online non riceve guadagni diretti dai lettori. A differenza di giornali e riviste cartacee, non c’è alcun oggetto fisico da vendere. Esistono ovviamente delle soluzioni, come i paywall. Ma l’Italia non è un paese dove il concetto stesso di paywall sembri attirare utenti. Le diverse implementazioni del Corriere della Sera o de La Stampa non sembrano aver inciso su questa avversione. Magari la colpa è anche del fatto che difficilmente contenuti importanti di queste testate sono sotto paywall. Un aggressivo giornalismo d’inchiesta magari potrebbe spingere molti utenti verso tale formula. Chissà?

La soluzione quindi resta quella classica: la pubblicità. La pubblicità, si sa, funziona ed infatti ce n’è tanta online, complice anche la mancanza di regolamentazione. La conseguenza è che spesso alcuni siti sembrano più i volantini pubblicitari che troviamo nelle nostre cassette delle lettere che riviste o blog. Banner, popover, popup offuscano la visione degli articoli fino a farci passare la voglia di fruire dei contenuti del sito. In più programmi di tracking ci profilano e tracciano il nostro comportamento per poterci proporre a loro dire una pubblicità mirata. Ingolfando ulteriormente il nostro spesso limitato traffico dati e violando la nostra privacy. Non è un caso se proprio quest’anno la discussione sugli ad blocker arrivati sul mobile con iOS 9 abbia monopolizzato l’attenzione (ne ho scritto qui e qui).

Il vero motivo che spinge gli editori a dare così tanto spazio a network pubblicitari così invadenti e spregiudicati è che la raccolta pubblicitaria online non rende quanto quella cartacea. A questo problema poi se ne aggiunge un’altro, culturale. Sottolinea Federico Sarica:

Trovo abbastanza schizofrenico che giornalisti e autori, o aspiranti tali, “regalino” i loro scritti sui social network o sui vari blog, o sull’ultimo sito appena nato dove non si può non scrivere per farsi notare da una determinata scena e poi si lamentino – con ragione peraltro – che le testate per cui collaborano, o vorrebbero collaborare, li paghino poco, male e in ritardo. Lo dico da freelance di lungo corso prima ancora che da direttore o editore: è importante ricreare un valore economico attorno a quello che facciamo. Ed è uno sforzo che deve coinvolgere tanto chi commissiona quanto chi scrive. Altrimenti diventa difficile pagare quello che altrove viene regalato

Cristallino. Pubblicare sottocosto o gratis per farsi conoscere difficilmente permetterà di dare valore economico al proprio lavoro, sia oggi sia in futuro. Senza contare che la notorietà online è un bene volatile ed in balia delle mode del momento.

Quindi riassumendo i problemi dell’editoria online:

  • la pubblicità su internet paga poco.
  • I grandi social network stanno tentando di monopolizzare la distribuzione dell’informazione (vedi il progetto Instant Articles di Facebook per esempio, l’app News di Apple in iOS 9 o il progetto AMP di Google). E anche se queste aziende stanno dicendo che non toccheranno i proventi pubblicitari dei siti che usufruiranno delle loro tecnologie, è ovvio che una volta avuto il controllo della distribuzione sui social network queste stesse aziende si ritroveranno col coltello dalla parte del manico per imporre agli editori un pedaggio.
  • Da quest’anno c’è stata una notevole crescita degli AD Blocker, sbarcati da poco anche sul mobile con iOS 9. Reazione netta e sacrosanta degli utenti che vogliono tutelare la loro privacy ed anche fruire dei contenuti dei siti, contenuti spesso irraggiungibili a causa dall’eccesso di una pubblicità così invasiva.

Insomma se non si è legati editorialmente ad una realtà che porti guadagni da altre fonti, al momento una sostenibilità di riviste online indipendenti resterà una chimera. E soprattutto resterà una chimera la possibilità per i produttori di contenuti di ricavare un guadagno vero dal proprio lavoro. Se non si troverà una soluzione a questi problemi rischieremo di riprodurre sul web la situazione presente nella carta stampata, con pochi gruppi editoriali polarizzati. E chi ci rimetterà saranno sempre i lettori.