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La Street Art di Tor Marancia

Nikon D750 e Sigma 35mm f/1.4 Art

Nel quadrante sud di Roma c’è un quartiere chiamato Tor Marancia. Il nome deriva probabilmente dalla deformazione medievale di Amaranthus, nome di un liberto che prese in gestione la tenuta agricola e la villa della famiglia Numisia Procula nel II secolo d.C. Nella zona sorgeva fino al XVII secolo una Torre Marancia, una delle numerose torri erette nell’agro romano e pontino per avvisare l’Urbe in caso di incursioni saracene provenienti dal mare. Nel 1933, durante il regime fascista, si avviarono i lavori per la costruzione della Borgata Tor Marancia (conosciuta anche come Tormarancio). Erano quelli gli anni della grande disoccupazione e della liberalizzazione degli affitti, gli anni in cui l’Urbe ed il suo centro subirono opere di trasformazione profonda. Veri e propri sventramenti che ebbero come conseguenza l’allontanamento dal centro di tutte quelle persone che vivevano in condizioni di povertà o precariato. La borgata era formata da un assembramento di baracche, casette in muratura o in legname. Le case avevano i pavimenti in terra battuta ed erano prive di acqua corrente. I servizi igienici erano in comune e spesso guasti. Scuole, trasporti pubblici ed un pronto soccorso erano inesistenti. A tutto ciò bisogna aggiungere che la borgata fu edificata in un avvallamento vicino una “marrana”, una palude insalubre, e ad ogni pioggia si allagava proprio come al passaggio di un monsone asiatico e per questo era stata soprannominata “Sciangai“. Nel dopoguerra, grazie alla Legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, furono costruite le attuali case popolari, dei comprensori che mimano dei villaggi, con i palazzi, vialetti e piazzette tutti racchiusi da un muro di cinta. Sicuramente un gran passo avanti rispetto alla storia pregressa ma… ma alla fine Tor Marancia e le sue case popolari erano comunque rimaste una zona socialmente difficile.

Il punto di svolta nell’immaginario collettivo è arrivato nel 2015 con Stefano Antonelli, curatore d’arte e responsabile del progetto per la riqualificazione urbana, sociale e culturale Big City Life (link qui). Un progetto che si pone come fine il tentativo di rispondere alla fatidica domanda: “L’arte può cambiare la vita reale delle persone?” e media questa ambizione grazie ad un Museo Condominiale che decora le facciate dei palazzi del comprensorio con 22 murales creati da street artist di fama internazionale.

In precedenza Antonelli aveva curato la realizzazione di una serie di opere nel non lontano quadrante tra Ostiense e San Paolo. L’obiettivo finale di Antonelli era che i murales avrebbero dovuto in qualche modo cambiare qualcosa nel tessuto urbano, facendo nascere spontaneamente associazioni o comitati di residenti che si occupassero delle opere per creare una sorta di museo diffuso. Ma nonostante l’entusiasmo iniziale in quel caso il progetto era fallito. Probabilmente, sostiene lo stesso Antonelli, per la dispersione e la disomogeneità delle opere. In quel caso infatti ogni artista aveva dovuto negoziare con il Comune per realizzare la propria opera, portando ad una eccessiva diversificazione di formati, dimensioni e tematiche.

Facendo tesoro di queste considerazioni Antonelli ha riproposto l’idea di base in un ambiente più uniforme come il condominio al civico 63 di Via di Tor Marancia. Qui i muri delle case alte 15 metri sono stati trasformati in delle tele, con alcune opere che affacciano a mo’ di richiamo sulla strada ed altre che campeggiano nei vialetti interni del comprensorio. Nel caso del Museo Condominiale l’obiettivo di creare una “comunità” a difesa delle opere è stato raggiunto appieno, con i residenti che vigilano costantemente sullo stato di salute delle opere che hanno reso famoso e visitato da numerosi turisti il loro comprensorio.

Ogni artista ha preparato tre bozzetti per ogni facciata, bozzetti sottoposti ai residenti che abitavano nel palazzo che avrebbe ospitato l’opera. Dal bozzetto scelto dai residenti poi è partita una negoziazione con l’artista che ha portato a all’opera definitiva. Questo ha contribuito fortemente a far sentire i residenti parte viva del progetto e a renderli ancora più consapevoli del valore del Museo.