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Legge 133

Continua la saga delle proteste universitarie. Il male sembra essere la legge 133 del 2008. Ormai si è alla radicalizzazione dello scontro. Chi vota a sinistra lo indica come il padre di tutti i mali. Chi vota a destra lo dipinge come la panacea di tutti i mali. Ma qualcuno se l’è letto ‘stà legge? Bene, vado sul sito del Senato e la trovo. Intanto è un’accozzaglia di varie cose. L’argomento del contendere è al capitolo 16. Che dice questo capitolo? In sintesi che il Senato Accademico può votare all’unanimità la trasformazione di un ateneo in fondazione privata. Dopo l’approvazione dei ministeri delle Finanze e dell’Istruzione prenderà vita una fondazione non a scopo di lucro i cui bilanci saranno controllati dalla Corte dei Conti.

Praticamente si da la possibilità alle università di accettare partecipazioni private per finanziarsi. Se lo vogliono fare. Serve appunto l’unanimità del Senato Accademico per attuare la trasformazione. E’ un po’ pochino per dichiarare che si stà sfasciando l’università italiana (che in salute non è…). Anzi, visto che lo Stato1 è ormai senza soldi, almeno si apre una possibilità di finanziamento ulteriore per le università.

L’altro giorno incrocio in uno studio medico una collega rifondarola, reduce dalla manifestazione di domenica, infervorata sull’argomento. L’argomentazione principe era che se l’università diviene privata, diverrà più cara e solo i figli dei ricchi potranno accedervi. Premesso che università private già esistono, non mi sembra economicamente vantaggioso avere pochi studenti che, per quanto abbienti, sempre pochi rimarrebbero e sarebbero insufficienti a mandare avanti un ateneo. Comunque ho fatto presente che nei paesi anglosassoni le università sono da sempre private, gestite da fondazioni appunto. E non mi sembra che sia un male. Anzi. Non l’avessi mai detto… E’ venuto fuori addirittura un progetto a lungo termine per distruggere la cultura in Italia. Ma s’è diffuso un virus del complottismo-a tutti-i-costi in giro?

Secondo me il problema vero è che in Italia molti non riescono a concepire che la laurea possa perdere il suo titolo legale e, come in Inghilterra o negli Stati Uniti, diventi un semplice pezzo di carta che vale relativamente al buon nome dell’università che lo rilascia. Mi spiego meglio. Quì da noi sia che ti laurei alla Sapienza sia a Camerino, non fà nessuna differenza. La laurea ha lo stesso valore. Che poi è nullo, visto che quando cerchi lavoro ti rendi conto che oltre che appenderla alla parete ci puoi fare ben poco. Negli USA invece conta se sei laureato in un’università prestigiosa. Gli atenei sono costretti ad offrire servizi ed insegnamenti di qualità per poter eccellere in questa classifica. E quando ne esci per entrare nel mondo del lavoro valuti con mano la differenza.

Chi protesta oggi potrebbe far notare che università migliori sarebbero più care e torneremmo al discorso che solo i ricchi ci andrebbero. Eppure nel nostro paese esiste un immobilismo sociale granitico. Se sei ricco resti ricco. Se sei povero difficilmente divieni ricco. E l’università non ha fatto la differenza. Eppure era proprio lo scopo che si era prefisso! Negli USA invece c’è un grosso dinamismo sociale. I ricchi si possono impoverire ed i poveri divenire agiati. Perchè chi affronta l’università, anzi chi si iscrive in quelle più prestigiose, non lo fà per moda, ma è fortemente motivato ad eccellere. I soldi se non li hanno glieli prestano le banche, a cui li restituiranno una volta trovato lavoro. E nel tempo libero dagli studi si trovano qualche lavoretto per arrotondare. Cosa che da noi è un’eccezione. E non mi si dica che non è così! Sono stato studente fuori sede dal ’91 al ’99. Ed un’idea me la sono fatta di quale sia la regola e quale sia l’eccezione che la conferma. A Piazza Bologna, quartiere dove ci sono più studenti che residenti, la regola era studiare e divertirsi.

- Note all'articolo
  1. e quì è indifferente che ci sia Prodi o Berlusconi al governo []