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L’Europa ed il terrorismo

Stamane, 14 Novembre 2015, la città di Parigi piange circa centotrenta morti per gli attentati di ieri sera. Un’azione terroristica che va’ ad aggiungersi ai militari assassinati nel sud della Francia stessa e all’attacco alla redazione di Charlie Hebdo. Agli attentati in Danimarca ed in Belgio. La nostra parte in una guerra che ci attardiamo dal combattere sul piano culturale e che preferiamo dilazionare sul piano militare.

Bansky_Paris

L’ondata di terrorismo che sta subendo l’Europa è molto diversa da quella subita dall’America con gli attacchi dell’11 Settembre. Mentre negli Stati Uniti gli attentatori erano cittadini stranieri venuti da fuori, in Europa i terroristi sono cittadini europei, figli di immigrati di seconda o di terza generazione. Sono cittadini che soffrono di un grande disagio culturale e di identità: nel caso specifico della Francia il sentirsi prima musulmani e poi francesi. In maniera che oggi appare tragica, ne scrissi proprio un anno fa, il 14 Novembre 2014.

In quell’articolo (lo trovate qui) scritto a commento di un pezzo sul blog Gli Stati Generali, si affrontava proprio questa tematica, il fallimento dell’assimilazione culturale. O meglio il desiderio di questi ragazzi di applicare ad una categoria così complessa canoni che non le appartengono, come la velocità.

I sogni di chi è nato in Gran Bretagna, ma scopre che anche se suo padre si è spezzato la schiena per anni, dicendo sempre sì, non alzando mai la testa per protestare, non è riuscito a rendere suo figlio uguale agli altri

Per meglio comprendere l’errore di fondo su cui si basano le aspettative di queste persone, occorre considerare quello che avvenne in un’altra grande ondata migratoria, quella che ha popolato gli Stati Uniti. I figli dei primi immigrati negli Stati Uniti furono per generazioni “figli di immigrati” prima che “americani”. Il processo di amalgamazione fu lento e ha portato gradatamente la società preesistente ad modificarsi per accettare anche usi e costumi diversi. Come ha portato i “figli degli immigrati” a rinunciare ad alcuni dei loro aspetti identitari, pur di far parte di questo nuovo corpus. Qui invece all’opposto si vorrebbe che una cultura ed una religione radicate da secoli lasciassero spazio ad una generazione che non riesce ad identificarsi in esse.
A questo cortocircuito culturale e sociale che si ripropone ciclicamente ad ogni ondata migratoria (la banlieue francese non è diversa da questo punto di vista dalla Little Italy dove erano ghettizzati gli italiani a Manhattan tra fine ‘800 e gli inizi del ‘900) si sovrappone oggigiorno la mitologia proposta dal Califfato fondato dall’ISIS tra Iraq e Siria. Mitologia che fornisce a queste persone un senso d’appartenenza coincidente col loro sentirsi prima musulmani e poi cittadini del loro stato. Ed in più li manipola spingendoli al martirio contro un presunto comune nemico.

Ma se il problema in Europa è questo, cosa possono fare gli europei per risolverlo anziché subirlo?

Se vogliamo fare tesoro della Storia, quella con la S maiuscola, guardiamo allora cosa fecero gli Stati Uniti quando si trovarono a dover fronteggiare la sfida nazista. Al sanguinoso confronto sui campi di battaglia, in Europa seguì una pacificazione guidata sia dagli aiuti economici del Piano Marshall, sia dall’imposizione di modello culturale – che alcuni limitano all’American Style of Life ma che andava ben oltre se nell’Europa Occidentale non vi sono più state dittature dal 1945. Un modello che ha trasformato due popoli nemici in alleati.
Adesso invece l’Occidente preferisce restare alla finestra guardando il Medio Oriente bruciare. Ci siamo sempre rifiutati in questi anni di utilizzare i nostri eserciti per dare la possibilità a quelle popolazioni di costruire un nuovo modello di società. Anzi, al contrario abbiamo prima contribuito militarmente a far cadere il precedente modello di società per poi abbandonarli al caos. La Siria, la Libia e l’Iraq sono casi emblematici.

Senza ripercorrere la cronaca degli ultimi anni appare ovvio che ad un problema complesso occorre fornire una soluzione altrettanto complessa, soluzione che spazia dalla pacificazione di quei territori al privare le cellule terroristiche del loro bacino all’interno della nostra società.

Appare preoccupante invece leggere sui giornali e sui social network frasi di politici e cittadini che forniscono soluzioni ridicole e spesso sciocche. Preoccupante anche perché alcuni si candidano alla guida del paese. Mi limito alle tre più in voga.

Bombardare l’ISIS. Ancora? Mentre noi li bombardavamo quelli hanno occupato metà Siria e metà Iraq. Solo le truppe curde li hanno respinti sul campo, a riprova che senza truppe di fanteria, senza occupazione del territorio nessuna guerra può essere vinta. Ed è anche inutile combatterla così, una guerra.

Chiudere le frontiere agli immigrati. Operazione inconcludente visto che appare evidente come i profughi che arrivano da noi siano proprio quelle persone che non vogliono accettare la logica dello scontro di civiltà e che, per salvarsi la vita, sono costretti ad abbandonare i loro paesi. Operazione inconcludente inoltre, perché il problema vero è al massimo il nostro vicino di casa, non il profugo siriano sbarcato da un barcone in Sicilia. Chissà poi se chi chiede la chiusura delle frontiere, facendo notare come sia stata una delle prime misure attuate dalla Francia ieri sera, si sia reso conto che la Francia le ha chiuse non per impedire l’ingresso di chissà chi, ma per non far uscire dal territorio nazionale eventuali terroristi in fuga. Che è una cosa banale ed ovvia da comprendere, anche se non sembra lo sia per alcuni…

Cacciare i musulmani. Ora, a parte che non si vede il motivo di rinunciare a dei diritti fondamentali come le nostre libertà per sostituirli con l’odio, se ci fosse un briciolo di cultura nelle persone che affermano questo, saprebbero che, per esempio, ai tempi della Guerra Fredda era illegale nei Paesi dell’Est essere cattolici. Eppure la Chiesa Cattolica operava in clandestinità sfuggendo alla repressione ed ad un certo punto uno di loro divenne pure Papa!!!

Finora l’Europa ha preferito dilazionare la soluzione del problema mediorientale, che così si è sempre più complicato con l’entrata in scena di sempre più attori sul campo. Sta all’Europa decidere se proseguire su questa linea o prendere atto di come sia arrivato il momento di agire per trovare soluzioni condivise che, eliminando lo Stato Islamico, ridiano stabilità a quella zona del mondo. Anche a costo di ridisegnare confini ormai privi di senso. O rassegnarsi ad un lungo periodo di instabilità anche interna oltre che internazionale.

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