Skip to content

Come mai i Trump non comprendono che il Russiagate può distruggerli?

Nella vita siamo circondati da due tipologie di persone, l’una agli estremi dell’altra. I fan(atici) delle proprie posizioni e coloro che non necessariamente reputano infallibile la loro opinione e tentano con curiosità di comprendere il mondo che li circonda. Nel mio piccolo provo – senza riuscirci troppo spesso, lo ammetto, ma nessuno è perfetto – a far parte del secondo gruppo. E allora, quando si parla del fenomeno Trump evito i facili cliché e cerco di andare oltre le semplici notizie. In questo mi aiuta un progetto giornalistico di altissimo livello, quello portato avanti da Francesco Costa, vicedirettore del Il Post. Costa aveva iniziato questo suo progetto – una mailing list – durante le ultime elezioni americane (ne avevo parlato qui), l’aveva allargato affiancando un podcast ed era stato uno dei pochi che aveva predetto che la vittoria di Trump, sebbene apparisse ai più improbabile, sarebbe stata comunque possibile. Come, di fatto, lo è stata.

Fatta la premessa, veniamo al dunque. L’amministrazione Trump, checchè se ne pensi, è di fatto paralizzata. Una riforma sanitaria da approvare al Senato: forse se ne riparla tra un paio d’anni (link qui). Muro col Messico: nessuno ne sa più nulla. Energia, infrastrutture: temi calendarizzati per il mese di Luglio, ma finiti nel dimenticatoio. Motivo della paralisi? Uno solo: Russiagate. L’inchiesta sull’interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali è diventata così imponente da assorbire tutta l’attenzione dell’amministrazione.

Cos’è successo ultimamente? Avete presente Jared Kushner? Kushner è il genero di Trump, quel giovane signore, ricco di famiglia, che ha sposato Ivanka, la figlia di Trump. Ecco,  all’inizio di questa storia era venuto fuori che Kushner, prima delle elezioni, aveva incontrato l’ambasciatore russo in America, Sergey Kislyak. Qual’è il problema? I problemi in realtà sono più di uno. Uno di questi problemi, per esempio, è che in America è reato accettare l’appoggio di una potenza straniera che voglia sostenere un candidato alle elezioni. Un altro problema è che Kushner, dopo la vittoria di Trump, è diventato uno dei suoi più stretti consiglieri. Per poter lavorare alla Casa Bianca si devono compilare un po’ di documenti, documenti senza i quali non si può avere accesso alle informazioni riservate. Tra le varie cose da dichiarare ci sono gli eventuali contatti recenti intrattenuti con rappresentanti di governi stranieri. Ed ecco il punto. Il New York Times aveva scoperto che nel modulo compilato da Kushner quegli incontri di cui sopra non erano stati dichiarati. Poco male, ha detto Kushner, è stata una svista, rimedierò. Kushner ha quindi inviato un nuovo modulo in cui riportava gli incontri svelati dal giornale e ne aggiungeva uno, fino ad allora ignoto. Un incontro con un’avvocatessa russa, avvenuto l’8 giugno 2016.

Per farvela breve, sempre il New York Times ha scoperto che l’incontro era stato organizzato dal figlio di Trump, Donald Junior – che d’ora in poi chiameremo Junior per evitare confusione col padre. Il New York Times ha scoperto poi che all’incontro avevano partecipato vari membri dello staff elettorale di Donald Trump (c’erano Junior, Kushner, il capo dello staff elettorale di Trump, Manafort) e personaggi collegati direttamente al governo russo. Problema!!! Tutti: Trump, Junior, Manafort, Kushner fino a quel momento avevano negato di aver avuto contatti di alcun genere con emissari del governo russo durante la campagna elettorale. Junior, venuta fuori la notizia dell’incontro, aveva detto che non era un incontro importante, perché si era parlato dello blocco delle adozioni dei bambini russi in America (il blocco delle adozioni è parte delle sanzioni imposte per l’aggressione militare operata dalla Russia sull’Ucraina). Insomma, un incontro dove non si parlava certo della corsa alla presidenza degli Stati Uniti. A quel punto al New York Times è giunte una nuova soffiata, soffiata secondo cui quell’incontro fosse stato esplicitamente richiesto per poter fornire informazioni compromettenti contro Hillary Clinton. Uscito l’articolo Junior ha cambiato versione, ammettendo la cosa, ma dicendo che, sì, si era parlato della possibilità di avere quelle informazioni ma che lui non aveva reputato veritiera l’offerta e che la considerasse solo una scusa per ottenere l’incontro dove parlare poi delle adozioni. Considerate che a questo punto per la legge americana si è già in presenza di un reato e si dovrebbe contattare l’FBI. Ma la storia prosegue e c’è un altro colpo di scena. L’11 luglio il New York Times dichiara di aver ricevuto il carteggio mail tra Junior e l’avvocatessa russa. Junior, spalle al muro, anziché mentire nuovamente e rischiare di essere sbugiardato per l’ennesima volta, decide di pubblicare lui stesso il carteggio. Carteggio da cui si evince come lui stesso avesse organizzato l’incontro, allargandolo a Manafort e Kushner, proprio perché voleva ottenere quelle informazioni sulla Clinton. Altro che adozioni.

Insomma non solo Junior, Manafort e Kushner hanno mentito ripetutamente sull’argomento, ma addirittura hanno mostrato il fianco ad una collaborazione con una potenza straniera durante la campagna elettorale: un reato abbastanza grave in America.

Ci sono due commissioni parlamentari, un procuratore speciale e l’FBI che indagano e, che si sia un fan o meno dei Trump, se si viola la legge a questi livelli negli Stati Uniti sono dolori. Ma la domanda che uno si pone è: perchè? Perché Trump e famiglia si sono, passo dopo passo, spinti sempre più a fondo in questa vicenda sommando imprudenze a menzogne? Perché Donald Trump ha licenziato il capo dell’FBI, Comey, sebbene fosse evidente a tutti che così facendo avrebbe dato un’accelerata ad un’inchiesta che rischia di distruggere lui e tutto il suo clan? Come fanno i Trump a non rendersi conto del casino in cui si sono cacciati?!?

Una buona risposta la si trova qui, nell’articolo di Josh Marshall. Ve ne estraggo dei pezzi significativi, gli stessi evidenziati da Francesco Costa nell’ultima puntata del suo podcast (link qui)

Durante l’ascesa di Trump, e soprattutto durante l’ascesa di Kushner tra i suoi consiglieri, ho cominciato a pensare di più alle grandi famiglie newyorkesi di costruttori e proprietari di immobili. Chi è molto ricco, lo sappiamo, gioca ovunque con regole diverse dagli altri. Magari le grandi famiglie di costruttori, queste famiglie i cui affari attraversano le generazioni, sono fatte così dappertutto. Ma non c’è nessuna città americana come New York, né per dimensioni fisiche né per le dinamiche di investimenti immobiliari che si creano in un posto così concentrato, così finito. E poi c’è un’altra cosa. Molte delle grandi famiglie di costruttori newyorkesi sono diventate quello che sono perché hanno conservato i loro investimenti e sono rimaste in città in quei giorni oscuri degli anni ’70 ed ’80, quando sembrava che la città stesse cadendo a pezzi. Che lo abbiano fatto per coraggio o per prudenza, restare qui gli ha permesso di sfruttare la corrente quando la città si è rimessa in piedi, circa venticinque anni fa. Questo ha generato in queste famiglie tutto un orgoglio, una pienezza di sè. Loro hanno avuto le palle, il coraggio, l’astuzia di restare quando gli altri se ne andavano. Loro hanno avuto ragione. Questo è diventato parte della loro cultura. La conseguenza del modo di pensare di questo piccolissimo mondo, di cui Trump, i suoi figli ed i Kushner fanno parte, è che sono spericolati e si sentono invulnerabili. D’altra parte, perché non dovrebbero? Trump si è mosso sul filo della legalità per decenni. Sappiamo come minimo che ha lavorato ed ha preso soldi per decenni da corrotti e da criminali. Non ha mai pagato nessun prezzo, a parte qualche piccolo risarcimento in tribunale. […] Loro si sentono invulnerabili, perché la storia della loro vita, la loro esperienza gli dice che lo sono. […] Kushner e Trump sono impulsivi, aggressivi e testardi e pensano di essere invulnerabili. Licenziare Comey per loro era la strategia più sensata, lo diceva la loro esperienza di vita. Se si guarda alla carriera di Trump ci sono tante cose ricorrenti: se finisci in un guaio, chiama gli avvocati, fai casino, minaccia tutti. Se qualcuno si mette in mezzo, fallo dissanguare per anni in tribunale. Se le cose rischiano di andare male, paga un risarcimento ed avanti il prossimo. Un tuo dipendente si comporta male? Licenzialo e minaccialo. Non c’è niente con cui non si possa fare i conti. […] Il punto è che a Washington non funziona così. Questi problemi non spariranno, perché il suo staff non può fermare le fughe di notizie. Ed in una situazione come questa non ci sono tante persone che puoi comprare né che puoi licenziare senza peggiorare la tua posizione. Trump ha pochissima esperienza in un mondo che ha queste regole. Una grande inchiesta federale come questa è come un fiume di lava, si muove lentamente ma è inarrestabile. Brucia e distrugge quello che incontra. E quello che non può bruciare, lo ricopre. I metodi di New York, le trovate comunicative, non lo toccano nemmeno. I protagonisti di questa storia non sembrano averlo capito.

CategoriesNews