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Prime riflessioni sui content blocker

Sono passati solo due giorni da che sui dispositivi Apple, grazie ad iOS 9, è possibile bloccare gli script di tracking e la pubblicità invasiva che già ci sono le prime vittime. Clamorosa quanto inattesa è la marcia indietro di Marco Arment. Sviluppatore indipendente, aveva presentato due giorni fa la sua app Peace ed oggi l’ha ritirata dall’App Store. Invitando anche gli acquirenti a richiedere un rimborso ad Apple. Arment ci spiega che si è trovato di fronte un problema che aveva sottovalutato. Mentre da desktop queste applicazioni permettono di bloccare selettivamente i vari script – io per esempio non blocco quelli di Google Analytics, WordPress Stats, Disqus – su iOS la possibilità di scelta è più complicata. Il risultato è che vengono bloccati anche i servizi di quei siti che non hanno mai implementato politiche aggressive nei confronti della privacy dei propri lettori. Nel caso specifico di Arment si tratta di The Deck. E Arment non se l’è sentita di dover essere giudice dei destini di persone con cui collabora da anni.

silentium

Rispetto la posizione di Arment anche se non concordo con lui per più di un motivo. Ho intanto chiesto il rimborso per Peace e ho installato Silentium dello sviluppatore italiano Francesco Zerbinati. Funziona altrettanto bene ed anche questa app ha la possibilità di creare una whitelist, una lista di siti che non subiscono le censure del content blocker. Perché capita che un sito senza pubblicità resti inaccessibile. Come è vero che esistono realtà sul web attente ai propri utenti (vedi Saggiamente ed il loro articolo sulla questione)

C’è stata infatti una notevole levata di scudi da parte di molti siti – soprattutto i grandi blog in lingua anglosassone – che vedono il loro business model in pericolo. Senza rendersi conto che quel modello genera poca attenzione e molto fastidio nei loro utenti. Ha semplicemente fatto il suo tempo ed è in declino. Debbono solo rendersene conto ed affrettarsi a cambiarlo.

 

Vi faccio qualche esempio del panorama italiano. Al di là di molti siti spazzatura che producono bufale solo per mostrarvi banner pubblicitari, esistono anche siti molto seri che producono contenuti originali e di elevatissimo livello che sono divenuti illeggibili da mobile. Esempio classico: Il Post. Prima è apparso un grosso banner a piè di pagina – ma quello ancor ancora era sopportabile, sebbene risultasse scomodo far scorrere la pagina per leggere l’articolo. Ma poi con la comparsa dei pop over che coprivano l’articolo alla sua apertura, gioco forza bisognava arrendersi. E delle due scelte l’una: o lasciar perdere il sito o filtrarne il contenuto. In entrambi i casi, o che si smetta di andare su un sito o che si adottino contromisure, l’eccesso di pubblicità porta conseguenze fatali per il modello di business di quel sito.

Va fatta anche un’altra considerazione. Peace di Arment era schizzata in due giorni alle vette delle classifiche dell’App Store – complice la notorietà del suo sviluppatore. Ma anche gli altri content blocker, tutti a pagamento, stanno avendo successo. Sono applicazioni che per lo più costano sui 3 euro – un costo elevato per gli standard di iOS. Questo vuol dire semplicemente che gli utenti sono così esasperati da essere disposti a pagare pur di poter fruire dei siti e tagliare il consumo di batteria e traffico dati. Il mercato è semplicemente cambiato. E come succede spesso, questo cambiamento è rapido, molto rapido. Così rapido che sempre con iOS 9 Apple ha inaugurato News, una app (per ora limitata solo al mondo anglosassone) dove leggere le news formattate senza pubblicità – lasciando aperta la strada al native advertising, ma ci arriviamo a breve. E anche Facebook è in procinto con Instant Articles di far pubblicare direttamente nella sua app le news, senza più reindirizzare sui siti originali. E l’accoppiata Google + Twitter sta per presentare la sua controproposta.

Insomma pop up, pop over e script di tracking (con relativa compravendita di dati) si avviano ad essere il passato. Il futuro si avvia ad essere quindi il native advertising. Articoli sponsorizzati prodotti dalle redazioni dei blog, articoli che coscientemente i lettori sono disposti anche a leggere ben sapendo che così facendo stanno supportando il team dietro quel blog. Il futuro si avvia ad essere il contenuto premium: paghi un abbonamento per avere notizie o approfondimenti esclusivi. Federico Viticci di MacStories ha da poco inaugurato il Club MacStories: l’ebook con la recensione completa di iOS 9 è disponibile solo per gli abbonati. Però ve lo dico chiaro e tondo: affinché operazioni come questa siano remunerative bisogna avere una larga base di utenti. Ed infatti MacStories pubblica in inglese. Il futuro si avvia ad essere il coinvolgimento degli utenti per richiedere abbonamenti liberi, sul modello di Digitalia: un gentleman agreement per cui se ci ascolti e sei uno studente od un disoccupato va bene così. Se invece puoi permetterti di spendere 5 euro al mese per una rivista, allora puoi permetterti anche di “acquistare” due ore di podcast che ti informano sulla tecnologia.

In conclusione ci sono molte vie aperte. L’importante è non restare aggrappati al passato, ma guardare avanti ed approfittare di questo periodo di transizione per sperimentare e trovare il modello di business ideale.