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Roma come una ciambella

Scrivo questo articolo facendo riferimento alla città di Roma. Sia perché qui vivo, sia perché il problema della viabilità e della mobilità vede nella capitale la sua espressione maggiore e peggiore. Resta comunque che – sebbene in misura ridotta – molte delle città del Lazio condividano la stessa tematica.

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Le considerazioni a cui sono arrivate sono scaturite dalla mia esperienza e principalmente dalle considerazioni che ho potuto fare negli anni in cui ho collaborato nel Comitato di Quartiere Giardino di Roma.

Tutto ha inizio intorno agli anni ’90 quando l’amministrazione capitolina, sindaco Rutelli, decise di iniziare un vasto piano di edificazione onde fornire nuovi quartieri alla crescente popolazione. La soluzione che il Comune individuò fu quella di accordarsi con i costruttori privati – i famosi palazzinari romani – per sottoscrivere delle convenzioni. Queste convenzioni davano ai costruttori licenza di tirar su interi nuovi quartieri alla periferia di Roma. In cambio loro avrebbero dovuto farsi carico della urbanizzazione primaria e secondaria. In soldoni potevano costruire case, ma dovevano anche fare le strade, il sistema fognario, l’illuminazione pubblica, costruire scuole e depuratori ove la zona non fosse già raggiunta dai collettori della rete fognaria cittadina.
Grandi guadagni per tutti quindi: i cittadini avrebbero avuto case nuove da comprare ad un prezzo sicuramente inferiore rispetto ai quartieri centrali di Roma, i costruttori avrebbero guadagnato moltissimo potendo costruire in un solo cantiere innumerevoli palazzine, il Comune non avrebbe speso soldi per l’urbanizzazione.
Come in tutte le storie della nostra sventurata Repubblica c’è un ma… anzi ce ne sono due legati l’uno all’altro.

Il Comune ha – sicuramente per pura, sebbene sistematica distrazione – dimenticato di adeguare la viabilità che avrebbe dovuto collegare queste nuove realtà al tessuto urbano. Non parliamo di estendere o potenziare adeguatamente la rete dei trasporti pubblici… Grazie ai media, Report in particolare, il quartiere di Ponte di Nona (uno dei tanti che si può portare ad esempio) è divenuto famoso per costringere i suoi abitanti ad alzarsi ben prima dell’alba per poter uscire da un’isola sicuramente felice, ma collegata al resto del mondo da un’esile stradina.
L’altro ma, si basa proprio sulla filosofia con cui le varie amministrazioni capitoline hanno affrontato la questione. Roma, infatti, è cresciuta ad anello, allargandosi sempre più: come una ciambella. Costringendo le nuove coppie a comprare casa sempre più lontano dal centro a causa dei prezzi proibitivi presenti all’interno del Raccordo Anulare. Ma se la popolazione si allontana dal centro città, così non fanno i posti di lavoro dei cittadini. Ogni mattina la maggioranza della popolazione deve affrontare letteralmente un viaggio della speranza per andare a lavorare nella città in cui vive!!!
Questa follia deve avere una fine.

Il Comune deve stabilire una linea invalicabile oltre la quale non sia più possibile far espandere la città. Questo costringerà il mercato edile ed immobiliare a rivolgere la sua attenzione anziché alle periferie più estreme a tutte quelle zone cittadine con edifici abbandonati o degradati. Esistono a macchia di leopardo per Roma innumerevoli lotti che potrebbero essere sfruttati in tal senso: ex zone industriali, caserme già o da dismettere, magazzini in rovina, edifici fatiscenti che se adeguatamente ristrutturati o demoliti potrebbero permettere alla città di aumentare – se necessario – la sua capacità abitativa senza costringere la popolazione a trasferimenti ancora più drammatici di quelli attuali. Una tale decisione deve ovviamente essere legata ad una modifica e semplificazione dei permessi burocratici che rendono al momento inattuabili tali opere di recupero.

Questa operazione permetterebbe l’abbattimento dei costi supportati dai lavoratori per raggiungere il posto di lavoro, l’abbattimento di quella quota di inquinamento legata agli ingorghi mattutini presso le strettoie presenti sulle strade consolari. E, non ultimo, un notevole guadagno per i cittadini di tempo libero da dedicare alla persona e non ad interminabili spostamenti.

L’unico effetto negativo è che questa proposta andrebbe a rompere un monopolio: quella della composita lobby dei palazzinari che a tutt’oggi possono decidere dove la popolazione debba vivere. A loro unico vantaggio. Perchè questa è la realtà e negarla non sposterebbe di una virgola i problemi che molti di noi debbono affrontare ogni giorno. Un bel problema, vero?