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Suburra

SuburraSe dovessi giudicare Suburra come un romanzo di fantasia sul malaffare romano ne darei un pessimo giudizio. Personaggi stereotipati e situazioni irreali. Una per tutte la relazione tra una ex escort che si esprime con i modi, il linguaggio e la cultura delle peggiori borgate romane ed un raffinato produttore cinematografico, compito, educato ed estremamente colto. Gente del genere, così diversa, forse potrà stare insieme nella vita, ma in un romanzo diventa macchiettistica.

Il dramma è che Suburra non può essere giudicato come un’opera di fantasia. Ma come un’inchiesta “giornalistica” camuffata in veste di romanzo. Anziché ripercorrere il sentiero di Pasolini – io so, ma non ho le prove, quindi taccio – De Cataldo e Bonini sanno e raccontano per chi vuole e può capire. E lo fanno nel 2013, ultimo anno della giunta Alemanno a Roma.

Suburra racconta una parte del marciume venuto a galla con la successiva inchiesta denominata Mafia Capitale. E come protagonista degli intrecci malavitosi del romanzo e dell’inchiesta stessa la medesima persona. Quel Massimo Carminati che già compariva in Romanzo Criminale – la storia della Banda della Magliana – come Il Nero e che in Suburra diventa Il Samurai. E poi le bande di Ostia che hanno portato al commissariamento per Mafia del X Municipio di Roma. Ed il clan gitano che domina Cinecittà e molta parte di Roma. E quella politica così tragicamente debole e corruttibile. Un problema culturale questo complesso e drammatico. Un problema culturale di cui gli italiani sembrano troppo spesso non volersi liberare. Italiani che troppo spesso appaiono un popolo di furbetti che vogliono fare fesso il proprio prossimo ad ogni occasione. Salvo poi ergersi a censori dei malcostume altrui.

Cittadini erano quelli che condannarono alla cicuta Socrate, e cittadini, per giunta in maggioranza, colore che, tra il profeta Cristo e il ladrone Barabba, scelsero quest’ultimo.