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The Magazine chiude

Glenn Fleishman:

The sad truth has been that, while profitable from week one, the publication has had a declining subscription base since February 2013. It started at such a high level that we could handle a decline for a long time, but despite every effort — including our first-year anthology crowdfunded a bit under a year ago — we couldn’t replace departing subscribers with new ones fast enough.

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Le riviste sono in difficoltà. Non solo quelle cartacee ma anche quelle digitali. E finché con “digitali” intendiamo delle goffe riproduzioni su schermo della versione cartacea – con la necessità di ingrandire volta per volta porzioni dello stesso schermo per poter leggere qualcosa – non me ne meraviglio. Quando invece chiude The Magazine, un prodotto che basa tutto sul contenuto e sulla qualità degli articoli, allora il discorso si fa più complesso.

Andiamo con ordine. The Magazine è stata fondata da Marco Arment. Quello di Instapaper prima e Overcast poi. Due anni fa Apple aveva introdotto l’applicazione-contenitore edicola, di cui nessuno sapeva bene che fare. E Arment invece la sfruttò con un’app leggera ed essenziale. Solo testo – quindi leggibile anche sul piccolo schermo di un iPhone. Argomento tecnologico, ma non solo. Elevata qualità editoriale. Costo contenuto, come sempre sull’App Store, ma scrittori ben remunerati. Vi invito a leggere Stables and Volatiles pubblicato sul primo numero della rivista, disponibile gratuitamente sul sito web.

Successo iniziale spettacolare. Ma…

C’è sempre un ma in queste storie. Tanti, tanti abbonamenti all’inizio. Che poi iniziano lentamente a scemare. Arment passa di mano la rivista a Glenn Fleishman, che non è certo l’ultimo arrivato nel mondo dell’editoria USA. Ma neanche l’entusiasmo e l’impegno di Glenn riescono ad invertire la parabola discendente presa da The Magazine.

Perché? Perché una rivista nata con i giusti canoni per i nuovi dispositivi non ha avuto successo?

Fleishman ci dice che si sarebbe dovuto investire troppo in marketing per raggiungere tutto il pubblico potenziale sull’App Store. Il solo passaparola non era stato sufficiente a rendere il progetto sostenibile.

Luca Pianigiani, che produce l’eccellente JPM, ci da una sua risposta.

bisogna parlare di ruolo delle riviste, del come trasformarle in una esigenza o in un desiderio concreto, il dialogo sul “come farle?” e anche sul “come venderle?” sta lasciando indietro la domanda vera, che è: “perché farle?”

Già… perché farle? In Italia i costi per un progetto come The Magazine sono improponibili. E’ una scelta quella di questa nazione quella di morire di inedia. Ma la crisi delle riviste è globale ed investe in pieno i progetti nati negli Stati Uniti. Forse è un modello editoriale arrivato alla sua fine. O forse ancora si deve intuire di cosa i tanti lettori potenziali abbiano bisogno. Personalmente non ho un’idea precisa. Mi rattrista comunque la chiusura di The Magazine. Al momento mi consolo con Wired Italia e JPM.

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