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2023

Marocco

Nikon D750, Nikkor 24.70, iPhone 12 Pro

31 Dicembre

Meta per il capodanno del 2023: il Marocco. Ho aderito al tour di Avventure ne Mondo chiamato Marrakech Express (link qui) Il viaggio parte l’ultimo dell’anno, quasi sul filo del rasoio. L’atterraggio a Casablanca è previsto per le 20,30 circa ma abbiamo deciso di non fermarci per il classico cenone – d’altronde siamo in un paese mussulmano dove il Capodanno non si festeggia, se non per i turisti. Per guadagnare tempo avevamo pianificato già da tempo di spostarci subito a Meknès e di festeggiare on the road. Per tutto il viaggio infatti avremo a disposizione un pulmino con autista, Ahmed, che ci scorrazzerà in giro.

E dato che a mezzanotte sulle strade del Marocco avremmo al massimo potuto ambire ad un succo di frutta o ad una bibita zuccherata – qui l’alcool si trova ma solo in appositi negozi nelle città – avevamo avuto l’accortezza di approfittare dei duty free degli aeroporti di Milano e di Roma per munirci di un paio di bottiglie di bollicine per l’occasione.

Festeggiato il capodanno, arriviamo a Meknès intorno alle 3 del mattino e ci concediamo qualche ora di sonno nel bellissimo Riad Bahya (link qui).

Un chiarimento sul termine “riad”. Erroneamente noi turisti lo traduciamo con albergo, perché spesso molti alberghi sono ricavati in dei riad. Riad in arabo vuol dire giardino, quel giardino che rappresenta il cuore dell’edificio ed intorno al quale si sviluppa la singolare architettura della struttura. Sono edifici totalmente chiusi all’esterno, per garantire una completa privacy, fondamentale nella cultura islamica. Costruiti con numerose stanze, distribuite su più piani, si sviluppano intorno ad un giardino o ad un cortile interno. Il giardino è spesso arricchito da fontane, piante, fiori ed è decorato con figure geometriche e arabeschi multi colore.

1 Gennaio

Sebbene con poche ore di sonno sulle spalle, ci alziamo di buon ora per gustare la colazione e iniziare la visita guidata di Meknès, accompagnati da Mousra che, col marito, gestisce il riad che ci ospita. Per la cronaca Meknès è una delle quattro città imperiali del Marocco: Fès, Marrakech, Rabat e Meknès appunto. Devono il loro nome all’opera delle varie dinastie di regnanti che, in tempi diversi, le scelsero come residenza. Sono tutte circondate da una cinta muraria a protezione della città vecchia, la medina. La prima tappa della giornata è sul colle dove sorge invece la città nuova, alla belle vue, il belvedere. Il Marocco è stato a lungo un protettorato francese e qui tutti parlano francese (ma anche spagnolo o italiano). Dal belvedere nella città nuova ammiriamo la vista sulla medina, con i suoi minareti che svettano al di sopra delle mura che la circondano.

Tornati indietro entriamo nella medina dal lato settentrionale, attraverso la Porta Bab Berdieyinne o Porta dei Sellai.

Questa porta, che deve il suo nome allo specifico mercato che esisteva in questa parte della città, fu costruita nel diciassettesimo secolo dal sultano Moulay Ismail, il sultano che durante il suo regno fece di Meknès la sua capitale e la abbellì di monumenti.

È una porta enorme racchiusa tra due torri squadrate e ricoperta da bellissime piastrelle zellige verdi (le piastrelle zellige sono un assemblaggio di piastrelle tagliate in terracotta smaltata che riproduce un disegno geometrico). A livello architettonico è il prototipo dell’architettura Saadiana. L’unica pecca è lo stato di conservazione della struttura che effettivamente sembra versare in cattive condizioni.

Entrati nella medina ammiriamo dall’esterno la Moschea Bab Berdieyinne. Fu costruita nel XVIII secolo con la tecnica del pisé, tecnica diffusissima in Marocco.

pisé indica una tecnica costruttiva che si basa sulla realizzazione di mura con terra poco umida (per evitare fessurazioni in fase di essiccazione) compattata con appositi strumenti, dentro casseforme lignee di limitata altezza e smontabili, per consentirne lo spostamento. Se con la stessa tecnica si costruiscono mattoni, la risultante si definisce adobe.

La moschea è tragicamente famosa perché il 19 febbraio 2010, a seguito di forti piogge che probabilmente avevano indebolito la struttura già compromessa, il minareto crollò nel mezzo delle preghiere del venerdì. La moschea era gremita e dei 300 fedeli presenti al suo interno 41 morirono e 75 risultarono feriti. La nostra guida ci sottolinea come molte delle vittime fossero state delle donne. Nelle moschee uomini e donne pregano tassativamente in spazi differenti. Qui anche gli ingressi alle due zone sono separati ma, mentre per gli uomini l’accesso avviene tramite un enorme portone, per le donne il passaggio si riduce ad una piccola porta. Questo rese più difficile a molte donne scappare durante il collasso della struttura.

Guardandoci intorno abbiamo l’impressione di essere finiti un po’ nell’universo estetico di Star Wars. Avete presente i Jawa su Tatooine, con i loro inconfondibili cappotti col cappuccio a punta (link qui)?!? Qui tutti nelle prime fredde ore del giorno vestono la gellaba, la tradizionale veste magrebina che ha ispirato Lucas per caratterizzare gli abitanti dei deserti. Il Marocco infatti è, per dirla con i colonizzatori francesi, “un paese freddo dal sole caldo”. Le mattine la temperatura è sui 6-8 gradi per finire ai 26 dell’ora di pranzo!

Dopo esserci aggirati per i vicoli del mercato – ancora in buona parte chiuso, perché da queste parti i commercianti aprono l’attività in tarda mattinata per prolungarla fino a sera – raggiungiamo il Mausoleo di Moulay Ismail. Il mausoleo, eretto quando il sultano era ancora in vita, è tuttora meta di pellegrinaggi. Moulay Ismail infatti, benché fosse stato un sultano dispotico, viene tutt’oggi ricordato per le sue conquiste, perché scacciò gli spagnoli da Larache e gli inglesi da Tangeri e perché, custode dell’islamismo più ortodosso, stese le basi delle leggi della dinastia alawide.

Due sono le caratteristiche architettoniche della cultura marocchina che la nostra guida ci illustra in questo tour e che rivedremo sempre durante il viaggio.

La prima è la forma ed il numero dei minareti: le moschee hanno sempre e solo un unico minareto dalla forma quadrata, come i nostri campanili, anziché tonda come nel resto del Magreb o del Medio Oriente. In origine infatti i mussulmani si espansero in terre cristiane e riadattarono le chiese in moschee sfruttandone i campanili per richiamare col canto del muezzin i fedeli alla preghiera. Quindi ad una chiesa con un campanile quadrato subentrava una moschea con un minareto quadrato. Successivamente alla caduta dei califfati arabi buona parte di quei territori furono assoggettati dall’Impero Ottomano. E per distinguersi culturalmente dai “rivali” cristiani, gli Ottomani decisero di innovare la forma dei minareti, costruendoli tondi. E decisero di moltiplicarne il numero a secondo dell’importanza della moschea. In Marocco però la dominazione ottomana non arrivò mai e l’architettura è rimasta fedele all’antica tradizione.

L’altra caratteristica riguarda la vasca per le abluzioni. In Marocco la vasca è spesso all’interno della sala della preghiera perché nella loro prima espansione i mussulmani occuparono territori caldi e non ebbero necessità di modificare la loro architettura primigenia. Fu solo successivamente, quando occuparono territori climaticamente più ostili, come l’Asia Centrale o i Balcani, che dovettero prendere accorgimenti per riscaldare le moschee e spostarono le vasche all’esterno.

L’interno del mausoleo, al quale si accede attraversando due cortili, è decorato con ceramiche zellige e da stucchi elaborati.

Usciti dal mausoleo passiamo sotto la Porta Bab Mansour, uno dei tratti meglio conservati della cinta muraria della città. Ammiriamo i prospicienti giardini del palazzo reale – trasformati in un campo da golf e dove trovano ristoro delle cicogne – facciamo qualche acquisto in alcuni negozietti specializzati in artigianato locale (tappeti, tovaglie, ciondoli, ecc) e torniamo al nostro riad per pranzo.

Il pranzo è ottimo e gustiamo la nostra prima portata tajin, portata a base di carne (o pesce) in umido servita nel piatto di terracotta col coperchio conico. È una modalità tipica della cucina marocchina e mangeremo quasi sempre ottimi piatti cucinati in questo modo.

Nel pomeriggio raggiungiamo la cittadina di Moulay Idriss Zerhoun. La tradizione racconta che nell’anno 789 la città fu fondata da Moulay Idriss I, condottiero che portò la religione dell’Islam in Marocco ed fu il capostipite della nuova dinastia degli Idrissidi. Oltre a fondare la città che porta il suo nome, avviò anche la costruzione di Fès. Il Mausoleo di Idriss, dal caratteristico tetto verde, è però visitabile solo dai mussulmani (in realtà fino al 1916 l’intera cittadina era proibita ai non mussulmani). Noi, appena scesi dal pulmino veniamo “adottati” da un’insistente – sebbene utile – guida locale che ci accompagna fin sulla cima della città vecchia per farci ammirare il mausoleo. Ed immaginiamo anche per dare un’occasione di lavoro ad un negozzietto alla fine della piccola terrazza dove siamo. La cittadina ospita anche l’unico minareto tondo del Marocco, costruito da un abitante della città dopo il suo ritorno dal pellegrinaggio a La Mecca.

Lasciata Moulay Idriss è giunta l’ora di un po’ di archeologia col sito romano di Volubilis. Capitale di un regno cliente dell’Impero Romano prima ed inglobata nell’Impero successivamente, lo sviluppo di Volubilis era legato alla fertilità delle terre coltivate che, ancora oggi, circondano le rovine – giuro che a volte alcuni scorci ricordano la Toscana! Ben conservati sono l’Arco di Caracalla, un arco di trionfo risalente al III secolo, ed un mosaico che raffigura Bacco ed Arianna.

La sera raggiungiamo Fès e dormiamo nel Riad Dar Hidaya (link qui), nel mezzo della città vecchia. Il nostro pulmino ci lascia all’esterno delle mura e dal riad ci vengono a prendere per accompagnarci… anche perché vi assicuro che nel dedalo di viuzze che abbiamo percorso per raggiungerlo ci saremmo sicuramente persi.

2 Gennaio

Nuova città, nuova guida: Luca (beh… lui è molto estroso e dice di chiamarsi così perché il suo nome è abbastanza simile al nostro Luca), stesso inizio del tour: la medina di Fès vista dall’alto, dal piazzale del Forte Borj Sud.

Da lì col pulmino raggiungiamo la medina. La città vecchia è un inestricabile dedalo di vie e viuzze. Nella medina, detta anche Fes el-Bali, vive una popolazione totale di circa 40000 persone ed ha fama di essere la più grande area urbana del mondo in cui sia vietato – o meglio impossibile – il transito delle automobili. Le sue strade e stradine sono circa 9000 e la nostra guida ci dice che, di queste, solo una quarantina avrebbero un nome.

Ancor più che a Meknès è qui che notiamo il bilinguismo delle varie scritte su cartelli e sedi istituzionali. Arabo (in caratteri arabi e latini) e berbero. Nel 2011 infatti una riforma costituzionale ha elevato la lingua berbera (il tamazight del Marocco centrale) a lingua ufficiale a fianco dell’arabo. Questo per meglio integrare e sottolineare le peculiarità e l’importanza storico-culturale dell’etnia berbera nella storia del Marocco. I berberi furono sottomessi durante l’invasione araba ma, sebbene si fossero convertiti all’Islam, venivano tassati come i non credenti e tenuti al margine della vita politica. L’accumularsi dei soprusi portò alla cosiddetta Grande Rivolta Berbera del 740-743 che affrancò al-Maghreb al-Aqsa, così si chiamava il Marocco, dal controllo del califfato omayyade. Sebbene il potere politico sarebbe stato gestito sempre da varie dinastie arabe, il Marocco grazie all’impegno berbero non fu mai più assoggettato al controllo del successivo califfato abbaside o sottomesso dagli ottomani.

Se foste incuriositi maggiormente sull’argomento vi consiglio questo paper in italiano disponibile gratuitamente su Academia (link qui)

La medina racchiude le botteghe artigiane della città, divise per settori. Per esempio, girando per i vicoli, sbuchiamo in Place Seffarine, dove i ramai sono intenti a battere i loro prodotti. Visitiamo vari negozi di artigianato ma la visita più suggestiva è sicuramente quella alla Conceria Chouara, una delle più grandi e famose. La conceria è circondata da vari negozi con terrazze, dalle quali è possibile osservare il duro lavoro degli artigiani. All’ingresso ci vengono consegnati dei piccoli rametti di menta da tenere sotto il naso così da mitigare il cattivo odore. Noi siamo stati fortunati perché, forse per il clima di gennaio, forse per il poco lavoro in corso, non abbiamo penato come raccontato da chi sia stato qui d’estate.

La conceria consiste di innumerevoli fosse piene di coloranti naturali che decorano l’intera area, con gli artigiani intenti alla lavorazione di pelli di agnello, bue, capra e cammello. Il primo passo che viene eseguito nelle concerie tradizionali è quello di introdurre le pelli in enormi tini pieni di calce ed escrementi di piccione, lasciandole a riposo per diversi giorni. Successivamente, vengono rimossi i resti dei peli ancora attaccati alla pelle, per poi colorare i pezzi selezionati introducendoli in grandi vasche colme di coloranti naturali. Quando le pelli sono sono ormai colorate e asciutte, gli artigiani si occuperanno di trasformarle in borse, scarpe e giacche.

Lasciata la conceria proseguiamo la visita nei vicoli della medina, tra negozi di artigianato e vecchi caravanserragli. Percorriamo stradine così strette che i carichi possono essere spostati o tramite carrelli spinti a mano o a dorso di muli. Le viuzze sono così intricate che effettivamente senza la nostra guida ci raccapezzeremo con difficoltà.

Finiamo il tour nella farmacia “tradizionale” dove producono rimedi a base di argan. L’argan è una pianta endemica del Marocco e dai suoi semi si ricava un olio dalle proprietà nutritive, cosmetiche e medicamentose. Assistiamo a varie dimostrazioni e… facciamo acquisti!

Prima di lasciare Fès ci fermiamo per una foto di rito davanti il portone monumentale del Palazzo Reale. Per la cronaca esistono 22 residenze reali in tutto il Marocco e nessuna è visitabile. Ci dice la nostra guida che il re risieda alternativamente in tutte quante.

La struttura del portone in realtà consiste di ben sette porte di dimensioni diverse, che rappresentano i sette giorni della settimana e i sette livelli della monarchia. Le enormi porte di bronzo sono incorniciate da migliaia di piccole piastrelle di ceramica dalle tonalità azzurre (in rappresentanza di Fès) e verdi (in rappresentanza dell’Islam), che compongono varie forme geometriche. Porta fortuna toccare il portone e noi non ci tiriamo indietro.

Lasciata Fès sostiamo nella Foresta di Cedri Gouraud, famosa per ospitare una colonia di bertucce che a bella posta aspettano noi turisti per una rapida transazione: cibo in cambio di pose fotografiche 🤪

La sera raggiungiamo la Kasbah Dounia (link qui).

3 Gennaio

La guida di oggi è Hicham, che veste col tradizionale caffettano e turbante. Prima tappa della giornata: le Gole di Ziz. Le gole danno vita ad un canyon lungo una ottantina di chilometri e chiuso ad una estremità da una diga che intrappola le acque del fiume. La valle è coltivata intensamente con palme da dattero.

Visitiamo una kasbah abbandonata, la Kasbah Amzoudj (questo il nome sulla iscrizione ma ho trovato Amjjouj su Google Maps). Ci spiega Hicham che esistono due tipologie diverse di kasbah (cittadella fortificata). La kasbah dello stato che ospita una guarnigione militare. E la kasbah del popolo che invece è abitata da civili e che prende il nome dal suo proprietario, il signor Amzoudj in questo caso.

La cittadella è ormai abbandonata da tempo e ci addentriamo tra le rovine. È un’esperienza suggestiva e Hicham è bravo a spiegarci il funzionamento della società e l’organizzazione della vita nelle kasbah. Nella visita ci accompagna il “guardiano” della kasbah. È un abitante del vicino villaggio a cui è stato affidato questo compito. I guardiani di queste rovine sono importanti per evitare che esse continuino ad essere depredate dei loro tesori: portoni intagliati, tetti in legno decorati (nelle foto sopra potete vedere uno scorcio di tetto decorato fotografato da un buco nel pavimento). Nulla ferma i “cacciatori di tesori”, tant’evvero che il turno di notte è armato!

La Valle di Ziz è famosa per i numerosi fossili che vi si rinvengono, per lo più ammoniti e trilobiti. Visitiamo una industria locale che lavora la roccia che li racchiude per creare oggetti o mobili originalmente ornati da questi fossili.

Pranziamo alla Maison Touareg di Rissani. Lì, sotto una tenda, i Touareg ci sfamano con la madfouna – una focaccia ripiena cotta nella sabbia che contiene una vasta gamma di carni, noci, verdure, erbe e spezie (dicono che per noi occidentali dagli stomaci delicati abbiano dimezzato la varietà delle spezie). Dopo pranzo visitiamo anche il loro negozio pieno di manufatti originali (spesso affittati dalle troupe cinematografiche), pashmine e… tappeti. Bellissimi e tutti liberamente acquistabili 🤪

Dopo una sosta nel mercato di Rissani raggiungiamo il Palais de Dunes (link qui) a Merzouga. Siamo ai piedi delle dune dell’Erg Ghebbi, non distanti dal confine con l’Algeria. Un erg consiste in gruppi di grandi dune formate da sabbia portata dal vento. Le dune dell’Erg Ghebbi raggiungono un’altezza di 150 metri e sono disseminate per chilometri lungo tutto il confine tra Marocco ed Algeria.

Salutiamo per un giorno il nostro pulmino ed il nostro autista e con un bagaglio ridotto saliamo a dorso di cammello per raggiungere sulla luce del tramonto il nostro campo tendato nel mezzo del deserto.

Avremmo voluto avere più fortuna, perché dopo lo splendido tramonto sulla groppa dei cammelli il cielo si rannuvola. E tra nuvole e luna piena non abbiamo modo di godere del cielo stellato.

4 Gennaio

Ma se il cielo può essere nuvoloso la sera, non è detto che lo sia al mattino! Il deserto ci regala un’alba splendida ed un cielo terso.

Dopo colazione carichiamo i nostri bagagli sui 4×4 che ci porteranno in giro per un’esplorazione della zona per poi ricondurci al nostro pulmino.

La nostra prima tappa è il villaggio di Khamlia, dove vivono gli Gnaoua (o Gnawa). Immediatamente salta all’occhio che gli abitanti del villaggio non fanno parte dell’etnia araba/berbera ma, per colore della pelle e tratti somatici, decisamente di quella sub sahariana. Per secoli infatti la tratta degli schiavi seguiva le vie carovaniere e dal Sudan, dal Mali, dal Niger gli schiavi affluivano in queste zone. Mentre attraversavano in catene il deserto, costoro trovavano ristoro alla loro disgrazia nel canto ritmato dal tintinnio delle catene. In questo villaggio vivono circa 400 persone, tutte dirette discendenti di quegli schiavi.

Il villaggio ospita ben tre gruppi musicali ed ogni estate si svolge un festival del deserto dei Gnawa, noto come Sadaka. Per tre giorni e tre notti, la musica Gnawa viene suonata senza sosta con un ritmo incessante simile alla trance. Frequentato da centinaia di persone, tra cui Gnawa provenienti da tutti gli angoli del regno, si ritiene che il Sadaka curi i malati e ottenga una benedizione divina ed è anche un momento per celebrare la loro eredità comune nel villaggio di Khamlia.

Noi visitiamo uno di questi tre gruppi musicali: i Pigeons du Sable, che ci accolgono col classico the e con le musiche ed i balli della loro tradizione. Accompagnano i loro canti con i qraqeb, grandi nacchere di metallo, e altri strumenti musicali come il sintir, uno strumento a corde pizzicate.

Dopo aver assistito alla loro performance risaliamo sulle auto e raggiungiamo un’altura da dove si domina tutta la zona. Da lissù apprezziamo quanto possa essere variegato il Sahara, con zone sabbiose e zone rocciose, alcune di origine chiaramente vulcanica.

Dall’altura rimiriamo anche i resti della città fantasma di Merzouga, sede di una guarnigione della Legione Straniera francese ai tempi della colonizzazione.

Lasciata l’altura raggiungiamo un poverissimo villaggio di nomadi. In passato queste famiglie si spostavano in base alle stagioni per seguire l’acqua ma negli ultimi tempi, con la moria dei loro cammelli, sono diventate forzosamente sedentarie, nonostante non abbiano di fatto veri mezzi di sussistenza.

Dopo aver lasciato il villaggio nomade i nostri driver ci portano a correre sulle dune. Il cielo è blu cobalto e la sabbia è dorata: emozione pura.

Dopo questa mattinata speciale veniamo lasciati al nostro pulmino e raggiungiamo prima Ait Ikkou per scattare una foto panoramica alla cittadina ed ai suoi fertili campi e poi per fermarci alle Gole di Todra. Le percorriamo a piedi. Nel punto più stretto le due pareti rocciose raggiungono una distanza di 10 metri, con rocce a strapiombo che raggiungono i 160 metri di altezza. Le gole sono anche molto sfruttate per lezioni di scalata, con più pareti già attrezzate all’uopo.

Risaliti sul pulmino la nostra ultima tappa è Mgouna, nella Valle delle Rose. Qui in un’area di circa 30 km vengono coltivate le rose damascene, da cui viene prodotta acqua ed essenza di rosa per uso cosmetico e alimentare: creme, saponi, rossetti… tutto all’aroma di rosa!

Dormiamo a Skoura alla Kasbah Amridil (link qui). È notte quando la raggiungiamo ma già da subito, guardando la struttura, intuiamo che il tour guidato del giorno successivo sarà molto interessante.

5 Gennaio

L’oasi di Skoura è un’isola araba circondata da zone popolate dai berberi. Il nome skoura richiama le pernici che in passato abbondavano in questa zona ricca di acque. L’abbondanza di acqua rendeva, e rende tutt’ora, fertile la terra e nel XVII secolo, per rendere sicuro il territorio, fu creata una fortezza (ksar in arabo, parola che in realtà deriva dal latino castra a dimostrare i profondi legami culturali e commerciali che intercorrevano tra l’Impero Romano e le popolazioni dell’Arabia), allargata poi in una kasbah nel XIX secolo. Costruita in pisé necessita di una continua manutenzione, vista la fragilità del materiale.

Accompagnati da Reda Nassiri, che gestisce la Kasbah Amridil, siamo così entrati in quello che è nei fatti un museo vivente. Reda ci ha trasportato in un passato lontano 300 anni, spiegandoci e mostrandoci come procedesse allora la vita, come venisse cotto il pane, come venisse riscaldata la struttura, come si sfruttasse il giardino per rendere autonoma la kasbah in caso di assedio.

Girando al suo interno (che comprende oltre al giardino e alle già citate cucine anche una stalla, varie stanze da letto ed una moschea) si nota una struttura architettonica intricata con scale dai gradini diseguali, angoli retti e porte basse. Tutti accorgimenti atti a rallentare e contrastare eventuali nemici che avessero invaso la fortezza.

Tutta questa zona del Marocco, che ha come fulcro la città di Ourzazate, è considerata la Hollywood locale. Qui sono stati girati molti film che hanno poi avuto successo globale – si spazia da Lawrence d’Arabia a Il Gladiatore.

La Kasbah Amridil, come la medina di Ourzazate compaiono in molte pellicole. Ma dedichiamo più tempo alla visita ad Ait-Ben-Haddou. Nata come ksar lungo una via carovaniera tra il deserto e Marrakech, sorge sul fianco di una collina lungo il fiume Ouarzazate. Lawrence d’Arabia, L’ultima tentazione di Cristo, Gesù di Nazareth di Zeffirelli, Il tè nel deserto, La mummia, Il Gladiatore, Game of Thrones… innumerevoli i film e le serie che hanno sfruttato questa suggestiva fortezza per le loro riprese.

Le viuzze della cittadella sono piene di botteghe artigiane e di artisti che esprimono la loro arte anche in originali opere pittoriche. Dipingono quadretti di varie dimensioni con sostanze particolari che vengono rese visibili solo dopo essere state esposte ad una fiamma. Una tecnica nata per scrivere messaggi segreti e riadattata ad altri scopi! Qui sopra potete vedere uno di loro che ci da una dimostrazione.

Dopo esserci aggirati per i suoi vicoli, zeppi di negozietti per turisti, riprendiamo il nostro viaggio svalicando il passo di Col du Tichka a 2260 metri. Ci fermiamo per far visita ad una cooperativa di donne che lavorano l’argan in maniera artigianale e per fare qualche altro acquisto. Poi scendiamo finalmente verso la pianura. Raggiungiamo Marrakech e prendiamo le nostre stanze al Riad Assia (link qui) per cenare nel vicino ristorante Cascado (link qui).

Dopo cena facciamo un giro per la piazza Jamaa el Fna, spiazzo enorme attorno al quale si sviluppa la medina e sempre pieno di gente ed attrattive. Banchetti per mangiare, incantatori di serpenti, musici, giocolieri, cantastorie e venditori di qualunque cosa. Come avevo accennato all’inizio del mio racconto qui le attività iniziano sempre tardi nella mattinata per protrarsi fino a sera. E a Marrakech questo viene esaltato più che altrove. Verso le 22,30 i venditori del giorno finalmente chiudono, per lasciare spazio agli ambulanti che vendono per lo più vestiario agli abitanti.

6 Gennaio

Guida della mattinata: Meriem. Parla un ottimo italiano e dato che ha vissuto a lungo a Vicenza può comunicare in dialetto anche con i veneti del gruppo 🤪

Prima tappa della visita è il Palais Bahia (link qui). Il palazzo si snoda su un’area vasta otto ettari ed è un gioiello dell’architettura marocchina. La sua costruzione fu iniziata nel 1859 da Si Musa, un ex schiavo diventato poi visir del sultano alawide Hasan I, e terminata da suo figlio, Ahmad b. Musa, a sua volta visir del sultano Moulay Abdelaziz. Ahmad vi risiedette con le sue quattro mogli ufficiali e il suo harem di 24 concubine. Il nome del palazzo prende il nome da Bahiya, la moglie preferita di Ahmad. Quando il Marocco cadde sotto il protettorato francese, il palazzo divenne la residenza ufficiale del Governatore. Dell’arredo delle stanze non è rimasto nulla, anche se per fortuna si possono ancora ammirare i bellissimi soffitti decorati.

Dopo aver visitato lo splendido palazzo ci spostiamo alle Tombe Saadiane. Queste tombe risalgono alla fine del XVI secolo e si trovano all’interno di un giardino chiuso a cui si accede per mezzo di un piccolo corridoio. In questo stesso giardino si possono vedere più di 100 tombe decorate con mosaici, dove sono stati sepolti i corpi dei servitori e dei guerrieri della dinastia Saadiana. L’edificio più importante delle Tombe Saadiane è il mausoleo principale, dove sono sepolti il sultano Ahmad al-Mansur (il committente) e i membri della sua famiglia. Il mausoleo ha tre stanze, di cui la più famosa è quella delle 12 colonne, dove sono sepolti i suoi figli. Della necropoli nei secoli si era persa la memoria, sia perché al cambio di dinastia si tendeva a cancellare le testimonianze precedenti, sia perché la necropoli era isolata dalle strade circostanti e di fatto nascosta, sebbene fosse nel centro della città! Le tombe vennero riscoperte solo nel 1917 da un aviatore francese che sorvolava Marrakech e che era rimasto incuriosito dalla struttura.

Mentre sostiamo nei giardini delle tombe, Meriem ci racconta un risvolto della storia del Marocco a noi sconosciuto. Un esempio della estrema tolleranza della cultura marocchina e del coraggio di quello che all’indipendenza divenne il re: Muhammad V. Nel giugno del 1940, quando la Francia venne invasa dalla Germania nazista, i territori del Maghreb passarono sotto l’amministrazione dello stato collaborazionista di Vichy. Come già fatto in Algeria, anche in Marocco il locale governatore francese tentò varie volte di introdurre norme anti ebraiche. Muhammad V, a suo rischio e pericolo, rifiutò di consegnare l’elenco dei cittadini marocchini di religione ebraica, sostenendo che in Marocco non “esistevano sudditi ebrei, ma solo sudditi marocchini”. E quando i francesi fecero pressioni per imporre la stella gialla agli ebrei marocchini, il re rispose che avrebbero dovuto ordinarne dieci in più. Perché dieci erano i membri della famiglia reale e tutti e dieci l’avrebbero indossata. Fu grazie al suo coraggio che gli ebrei del Marocco non subirono il destino dei loro correligionari francesi.

Finito il tour sotto il Minareto Koutoubia e salutata Meriem andiamo a visitare i Giardini Majorelle (link qui). Creati nel 1924 da Jacques Majorelle, un pittore francese che si stabilì a Marrakech nel 1919, furono poi aperti al pubblico e nel 1980 acquistati da Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, che vi si stabilirono decidendo di vivere nella casa dell’artista, ribattezzata Villa Oasis. Le ceneri di Yves Saint Laurent sono state disperse nel roseto di Villa Oasis, e un memoriale in suo onore è stato eretto nel giardino. I giardini ospitano tantissime piante differenti, suddivise fra cactus, palme, bambù, piante da giardino e piante acquatiche.

Tornando verso il centro entriamo nell’Hotel La Mamounia (link qui), hotel extra lusso famoso perchè Winston Churchill era solito svernare qui. Ovviamente l’ingresso non sarebbe libero maaaaaa… è bastato dire che avevamo una prenotazione per un the. L’albergo ha dei giardini stupendi e degli arredi eccezionali.

Nel tardo pomeriggio beviamo un drink su una delle terrazze che affacciano sulla Piazza Jamaa el Fna per goderci il tramonto, dopodiché ci buttiamo nel suq per gli ultimi acquisti.

Ceniamo allo Zeitoun Cafè (link qui) e restiamo fino a notte fonda in giro per la piazza. Domani di buonora si torna a casa 🛫