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2023

Hokkaido

Nikon D750, Nikkor 24-70, Nikkor 70-200, iPhone 12 Pro

Ero già stato in Giappone nella primavera del 2019 (link qui) visitando le regioni del Kanto e del Kansai nell’isola di Honshū. Che è un modo più complicato per dire che ho girato tra la città di Tokyo e quelle di Kyoto ed Osaka.

Sicuramente primavera ed autunno sono le stagioni migliori per visitare l’isola di Honshu e le isole meridionali. Il Giappone è all’incirca alla stessa latitudine dell’Italia ma gli inverni sono mediamente più rigidi e le estati più torride rispetto alle nostre. Luglio invece è il mese ideale per visitare l’isola più settentrionale: Hokkaido. Luglio, al massimo inizio Agosto, perché così si ha anche la certezza di trovare in fiore i campi di lavanda di Furano!

Avevo in testa l’Hokkaido da quando avevo letto l’autobiografia di Fosco Maraini (link qui) che a Sapporo aveva vissuto ed insegnato all’università. E che tra il 1939 ed 1941 aveva raccolto molte testimonianze della civiltà Ainu. Siamo abituati a pensare al Giappone come ad una serie di isole abitate da una sola popolazione, gli Yamato. Ma nel nord di Honshu ed in Hokkaido, come a Sakhalin, era presente una popolazione di discendenza siberiana dedita alla caccia e alla pastorizia. In epoca medioevale furono fieri oppositori dell’espansionismo Yamato, sebbene finirono per soccombere alla superiorità militare dei loro avversari. Dopo aver fatto di tutto per cancellarne la cultura, solo nell’era moderna il governo giapponese ha incominciato ad intraprendere politiche di protezione verso questa minoranza. Purtroppo ormai buona parte della loro cultura originaria è andata dispersa, ma proprio grazie al lascito di Fosco Maraini al Museo di Storia Naturale di Firenze (link qui) in Italia abbiamo una delle più importanti testimonianze della cultura Ainu!

9 Luglio

Mi sono iscritto al viaggio di Avventure nel Mondo chiamato Giappone Nord Hokkaido (link qui) e con un gruppo di 13 partecipanti abbiamo iniziato il nostro viaggio atterrando per ora di pranzo in una Tokyo rovente per il caldo ed una afa veramente pesante… Per le prime due notti a Tokyo avevamo prenotato un capsule hotel, lo Smart Stay SHIZUKU Ueno Ekimae (link qui) situato strategicamente vicino la stazione di Ueno, un grosso crocevia di metropolitane e ferrovie che ci sarebbe stato utile per prendere due giorni dopo lo Shinkansen per andare su al nord.

A livello di alloggi Tokyo è una città che presenta offerte molto costose e spesso con metrature irrisorie. Per un turismo non di lusso in cui ci si voglia ripartire in stanze doppie quasi sempre si trovano letti alla francese (quindi matrimoniali stretti) in stanze anguste. Per poche notti la soluzione del capsule hotel si rivela sempre la migliore. Ad un basso prezzo si ottiene un letto singolo. Le capsule sono sufficientemente alte da potercisi anche accucciare e la chiusura è con una tendina che non da quella sensazione di essere “murati vivi” che si potrebbe temere in una tale sistemazione. Consiglio comunque di visionare sempre prima dalle foto e dai filmati online le capsule, perché in strutture vecchie si potrebbero anche trovare vecchi modelli più bassi e chiusi da pannelli di plexiglas.

Dopo esserci sistemati, decidiamo di sfruttare le poche ore prima del tramonto per un giro del Parco di Ueno. Quello di Ueno è uno dei cinque parchi pubblici più antichi del Giappone. Ospita lo zoo, vari musei e templi e lo stagno di Shinobazu, famoso per i suoi fiori di loto (adesso chiusi perché siamo quasi al tramonto).

Conservavo un ricordo fantastico del Parco di Ueno, visitato in primavera con ancora i ciliegi in fiore e l’aria tiepida. Con l’aria rovente del tardo pomeriggio di luglio invece la passeggiata è molto faticosa…

Ormai siamo all’imbrunire e ci allunghiamo passeggiando nel quartiere di Yanaka, adiacente al Parco. Qui scompaiono i grattacieli che circondano il Parco di Ueno per lasciare posto ad edifici di piccole dimensioni, dimore in legno, bancarelle, botteghe di vario genere e ristorantini che si affacciano su piccoli vicoli. L’apertura di musei e di accademie delle Belle Arti nelle vicinanze ha portato numerosi artisti, artigiani e scrittori a trasferirsi in questa zona che conserva uno spirito creativo molto legato alla tradizione: per questo oggi nell’area vengono ancora prodotti vari articoli artigianali, come tessuti, stampe, ceramiche, oggetti in legno e, naturalmente, le specialità gastronomiche giapponesi. A quest’ora buona parte delle botteghe e dei negozi sono chiusi, ma dalle vetrine si intravedono articoli raffinati.

Cercando un posto per cenare incappiamo anche nel cimitero di Yanaka, caratterizzato da lapidi e tombe piuttosto elaborate. Dopo averlo visitato dobbiamo arrenderci all’evidenza che qui i locali sono troppo piccoli per ospitare tredici persone. Quasi sempre si tratta di minuscole attività a conduzione familiare con 5-8 posti tra tavoli e bancone.

Contando che molti locali chiudono presto rispetto agli orari a cui siamo abituati in Italia ci affrettiamo a tornare verso la zona della stazione. Passando davanti la Grande Fontana del Parco di Ueno approfittiamo della disponibilità dell’Everyones Cafe (link qui) che, sebbene in chiusura, ci permette di cenare tutti insieme.

Dopo cena ci immergiamo nel mercato all’aperto di Ameyoko, che si trova a ridosso della Stazione di Ueno. È un luogo vibrante ed affollato zeppo di chioschi che vendono street food o meglio drink da consumare in piedi.

10 Luglio

Oggi abbiamo la nostra visita guidata di Tokyo. Alle 8 la nostra guida Yukie ci raggiunge in albergo (evito di commentare il trauma di uscire dall’aria condizionata all’afa estrema dell’esterno) ed iniziamo il tour della città dal vicino Parco di Ueno. Prima raggiungiamo il Tempio Bentendo, che si erge su un’isoletta nel mezzo dello Stagno Shinobazu.

Essendo giorno i fiori di loto si sono schiusi e lo spettacolo è magnifico. Lì Yukie approfitta per mostrarci l’originale eyeglasses monument, il monumento agli occhiali. Ebbene sì! I giapponesi non si fanno premura di omaggiare solo divinità e personaggi famosi ma anche coloro che hanno contribuito all’evoluzione di un oggetto che ha migliorato la qualità di vita di tante persone. Quelli raffigurati nel monumento sono gli occhiali di Tokugawa Ieyasu, il fondatore dello shogunato che governò il Giappone dal 1600 fino alla Restaurazione Meiji del 1866-1869.

Sempre nel parco passiamo davanti il Tempio Kiyomizu Kannon. Forse è il più famoso dei templi del parco perché essendo costruito su una collinetta permette di spaziare con la vista su una parte del parco (ok mi tocca dirlo, piccola pecca del giro di Yukie. Il tempio apre alle 9 e noi eravamo lì alle 8,30 quindi niente affaccio)

Finiamo il giro nel parco ai piedi della statua di Saigo Takamori, “l’ultimo vero samurai”. Avevo letto la sua storia nel libro Breve storia del Giappone di Antonio Moscatello (link qui), storia che mi aveva colpito. E quindi mi ha piacevolmente stupito trovarmi senza preavviso di fronte alla sua statua. In breve Saigo Takamori fu uno dei samurai più famosi e influenti del Giappone, con una carriera lunga e piena di alti e bassi. Iniziò come contadino-samurai rurale a Kagoshima, fu esiliato due volte, condusse diverse guerre per l’esercito imperiale, servì come politico dell’era Meiji e si suicidò durante la ribellione di Satsuma (1877). Fu così famoso che, dopo la sua morte, per molti anni continuarono a circolare voci di un suo ritorno.

Dal Parco di Ueno ci spostiamo al Tempio Sensō-Ji, nel quartiere di Asakusa. Eretto nel 628 d.C. ha fama di essere il tempio più antico della città ed è circondato da un vasto giardino. Lo si raggiunge passando prima sotto il Kaminarimon, “la porta del tuono”, un vasto cancello adornato da una enorme lanterna di carta e percorrendo poi la Nakamise-dori, una strada costeggiata di piccoli negozi che vendono cibarie tipiche o souvenir. Alla fine della strada c’è un altro cancello, l’Hōzōmon, dopo il quale inizia la zona sacra. Le caratteristiche dei templi buddisti giapponesi si presentano subito: la zona della fontana con i mestoli con cui lavarsi bocca e mani per purificarsi prima di entrare nel tempio. Ed il braciere per l’incenso, il cui fumo va diretto con le mani sulla nuca sempre con intento purificatore. Intorno a questa zona ci sono altre bancarelle che vendono le hozuki, o piante lanterna giapponesi. Il nome è legato al loro frutto rosso e vengono comprate come offerte intese a guidare le anime dei defunti nella ricorrenza chiamata Obon. Esiste una radicata credenza che una preghiera offerta nel 10 di Luglio porti 46000 giorni di buona sorte! Ed oggi è appunto… il 10 di Luglio!!! Quindi il giorno migliore per acquistare le hozuki, che in effetti vanno a ruba…

Col caldo afoso dell’estate giapponese bere è essenziale ed in Giappone più che le fontanelle pubbliche a cui riempire la borraccia (se le trovate spesso per come sono fatte risulta difficile recuperare l’acqua nella borraccia) la sopravvivenza è garantita dagli onnipresenti distributori automatici. Sono letteralmente ovunque (per strada, alle stazioni dei treni, negli alberghi, nei templi) ed offrono bevande spesso fredde ma anche calde. Oltre alle bottigliette di bibite zuccherate e d’acqua normale, hanno addirittura anche una versione di acqua con sali minerali!

Intorno al tempio ci fermiamo anche presso dei baracchini che vendono delle pesche. In Giappone la frutta è un prodotto ambito e ricercato e per questo molto caro. Le pesche sono enormi e dolcissime e vengono vendute una ad una, spesso inserite in un retino di plastica bianca per evitare che si ammacchino. Per la cronaca: sono le 9,30, il caldo è micidiale e ci rifugiamo sotto l’ombra di un pergolato dove viene diffusa acqua nebulizzata.

Buttare l’immondizia il Giappone può essere un incubo per il turista non sufficientemente attento. Secchioni e cestini per strada non ce ne sono dato che la raccolta rifiuti è porta a porta. Gli unici cestini pubblici sono o legati ai distributori automatici (e spesso poco visibili) o all’ingresso dei combini o dei supermercati. Le uniche altre soluzioni per disfarsi dell’immondizia sono: o chiedere dove sia un secchio ad un commerciante (immancabilmente prenderà i vostri rifiuti per buttarli nel suo secchio privato) o portarsela appresso nello zaino per buttarla nel secchio della stanza in albergo.

Ci spostiamo a Ginza, il quartiere del lusso. In un mondo globalizzato per noi occidentali le griffe che espongono vetrine in questa zona hanno poca attrattiva. Alle 11 del mattino l’afa è così avvolgente che “decidiamo” di dover assolutamente entrare in un concessionario Nissan per vedere un prototipo in esposizione. Yukie ci stupisce portandoci al piano -1 di un centro commerciale lì di fronte. In Giappone infatti nel piano interrato dei centri commerciali spesso sono locate le food area. Rammento infatti la mia meraviglia quando nel mio primo viaggio trovammo una rinomata ramen street nella zona commerciale sotto la Stazione Centrale di Tokyo. Ci ritroviamo in una serie di banchi di pasticceria con dolci raffinatissimi (siamo a Ginza, ricordate?!?) che sono uno spettacolo per gli occhi.

Lasciato il centro commerciale andiamo al mercato del pesce di Tsukiji e ci attardiamo un po’ perdendoci nei suoi vicoli ed assaggiando sushi & co di bancarella in bancarella. Dopo questa pausa è ora di rimettersi in marcia e passiamo prima davanti al Teatro Kabuki per ammirarne i decori per poi raggiungere il Palazzo Imperiale. La tenuta del Palazzo consiste di una serie di padiglioni bassi (dove vive la famiglia imperiale) e di una seri di torri e fortificazioni bianchissime che servono a presidiare il muro di cinta che, col fossato, separa nettamente la tenuta stessa dalla città. In primavera avevo visitato i giardini, ma con quest’afa sarebbe più un incubo che un piacere e per fortuna Yukie ha programmato solo la classica foto del castello alle spalle del ponte che porta al cancello principale.

Per pranzo ci spostiamo a Shibuya e ci dividiamo all’interno dell’Omotesando Hills, un centro commerciale, così che ognuno possa più facilmente mangiare quello che vuole – senza prenotare (dove possibile farlo) è veramente difficile far accomodare un gruppo di tredici persone.

Io ed altri tre partecipanti ci uniamo a Yukie che ci porta a pranzo fuori dal centro commerciale all’Yamawarau shabu-shabu (link qui), un posto dove va anche lei a mangiare con la famiglia nei giorni di festa. In questo ristorante, come indicato nel nome, si mangia shabu shabu. Questa è la variante giapponese di una ricetta mongola. Immaginate di essere seduti davanti ad un pentolino con acqua che bolle e di avere due ciotole, una con della carne di manzo e/o maiale ed un’altra con delle verdure. Con delle bacchette di metallo si fanno cuocere carne e verdure nel pentolino per poi mangiarle dopo averle insaporite con alcune salse a disposizione.

Dopo pranzo il gruppo si riunisce ed andiamo all’incrocio di Shibuya. Prima giù nella piazza per vedere la statua del cane Hachikō, protagonista di una commovente storia di fedeltà nei confronti del suo padrone, il professore Hidesaburō Ueno. Il professore morì improvvisamente durante una lezione all’università, stroncato da un ictus. Hachikō, come ogni giorno, si presentò alla stazione di Shibuya alle cinque del pomeriggio, l’orario in cui il suo padrone solitamente arrivava. Ma attese invano. Ciononostante, tornò alla stazione tutti i giorni. Con il passare del tempo, il capostazione di Shibuya e le persone che prendevano quotidianamente il treno iniziarono ad accorgersi di lui e cercarono di accudirlo, offrendogli cibo e riparo. Con il passare del tempo la vicenda ebbe un enorme risalto sui media e molte persone cominciarono ad andare a Shibuya solo per vederlo e poterlo accarezzare, mentre attendeva invano il padrone. Gli fu dedicata la statua e quando morì, dopo dieci anni di vana attesa, fu dichiarato un giorno di lutto nazionale.

Poi siamo saliti allo Starbucks di fronte per poter vedere dall’alto l’incrocio di Shibuya, famoso per le sue folle ordinate che, al comando dei semafori, attraversano in contemporanea le strade sia in senso ortogonale che diagonale.

Per concludere la sua visita guidata, Yukie ci accompagna ai giardini di Hama-rikyu. Questi giardini erano di esclusiva pertinenza imperiale e furono aperti al pubblico nel 1946. Si estendono intorno ad un enorme stagno di acqua salmastra, collegato alla baia di Tokyo e grazie ad una passeggiata su un ponte di legno di 120 metri è possibile raggiungere una Nakashima-no ochaya (una sala da the) su una delle isole dello stagno. Lì degustiamo delle tazze di the verde matcha accompagnato da un dolcetto tradizionale – per chi non lo sapesse il the macha è bello amaro ed il dolcetto dovrebbe compensare.

Salutata Yukie saliamo sulla monorotaia per Odaiba, isola artificiale dove ammirare la replica in piccolo della Statua della Libertà ma anche la statua in dimensione 1:1 del Gundam (in versione Unicorn).

Ceniamo nel Diver City Tokyo, il centro commerciale alle spalle del Gundam, dopodiché raggiungiamo il grattacielo Government Building ad un minuto dalla chiusura (nell’altro viaggio invece arrivammo troppo tardi)! Saliamo così al 45mo piano per ammirare Tokyo by night.

Come gran finale raggiungiamo il quartiere di Kabukicho dove dalla torre dell’Hotel Gracery spunta la testa di Godzilla. La torre ospita sia l’albergo che il cinema multisala Toho e come tributo al principe dei mostri l’albergo ha creato la Godzilla Room dalle cui finestre si intravede l’occhio di Godzilla.

A questo punto, sfiniti dalla giornata infinita, ce ne torniamo al nostro capsule hotel

11 Luglio

Di buon ora lasciamo l’albergo per prendere alla Stazione di Ueno il nostro Shikansen che ci porterà al nord. Prima di raggiungere il binario compriamo del bentō, il cosiddetto “cibo da viaggio”. Una scatola preconfezionata, divisa in settori, ripiena di vario cibo da consumare in viaggio appunto. Il bentō può essere comprato solo in stazione, non sulle banchine e non a bordo dove o non passa nessun carrello o servono tramezzini.

Lo Shinkansen ci porta in sei ore e mezza da Tokyo ad Hakodate, nel sud dell’isola di Hokkaido, passando sotto lo Stretto di Tsugaru grazie al Tunnel Seikan, la galleria sottomarina più lunga al mondo!

Le acque territoriali del Giappone si estendono fino a tre miglia nautiche (5,6 km) nello stretto di Tsugaru invece delle solite dodici come conseguenza del trattato di pace della II Guerra Mondiale per consentire alle marine alleate di non dover circumnavigare l’isola di Hokkaido. Nonostante questa peculiarità il Tunnel Seikan è comunque considerato sotto completa giurisdizione giapponese.

Ad Hakodate lasciamo lo Shinkansen e con un treno locale raggiungiamo la nostra prima tappa in Hokkaido: il Lago di Toya. Prendiamo subito le nostre stanza al Granvillage Toya Daiwa Ryokan Annex (link qui), così da lasciare lì i bagagli e poter subito effettuare la prima escursione nonostante il meteo avverso.

Una intera giornata di sole in Hokkaido è cosa rara. Il clima è sempre molto variabile ed in genere nella bella stagione il sole brilla pienamente per un terzo della giornata. Poi spesso si vela, le nuvole si addensano e piove spesso. Questo nella bella stagione. Negli stessi posti d’inverno la temperatura cala a -5 e cadono un paio di metri di neve! A causa del clima estremo, l’Hokkaido è l’isola meno sviluppata del Giappone, sia come popolazione, sia per infrastrutture. Lo Shinkansen arriva solo fino ad Hakodate (sebbene sia in costruzione un prolungamento della linea per raggiungere il capoluogo della prefettura: Sapporo), i treni locali servono poche tratte e ci si sposta molto in autobus. È l’unico posto del Giappone dove può avere senso affittare un’auto, soprattutto se si viaggia in coppia.

Il nostro albergo è proprio sulle sponde del Lago Toya, un’enorme lago vulcanico dalla forma quasi circolare e del diametro di circa 10 km. Per abbracciarlo con lo sguardo occorre salire tramite una funivia sulle pendici del Monte Usu, un vulcano alto 700 metri (link qui). Ha appena spiovuto e c’è nebbia bassa e noi prendiamo un bus di linea che ci porta fin quasi alla funivia. Abbiamo infatti scoperto che solo ad agosto l’autobus effettua la fermata proprio alla funivia, mentre nel resto dell’anno tocca scendere sulle sponde del lago e percorrere a piedi la strada di due chilometri e mezzo in leggera salita che porta alla Funivia Usuzan, la cui stazione di partenza, la Showashinzan Station, è proprio a ridosso di un giovane duomo lavico formatosi nel 1944-45 di nome Showa Shinzan. Per la cronaca, la formazione, alta 398 metri, è geologicamente così giovane che le rocce ancora fumano abbondantemente.

Prendiamo la funivia ed arriviamo ehm… in cima. Speravamo in un po’ di fortuna ma non è giornata. Una fitta nebbia avvolge anche la montagna e di panorami non se ne vedono. Percorriamo comunque la prima parte di un sentiero che ci porta all’Usu Crater Observatory e lì ci fermiamo evitando di proseguire fino al Crater Observatory deck. Nebbia fitta. Visibilità nulla. Ci prendiamo un gelato al cafè della stazione (sempre nebbia fitta anche da quella terrazza) e riprendiamo la funivia. Miracolo! Durante la discesa c’è un lieve miglioramento e alla fine riusciamo rocambolescamente ad ammirare il lago.

Torniamo a piedi sulla strada, attendiamo il bus, veniamo travolti da un nubifragio, saliamo bagnati fradici sul bus e finalmente ci godiamo il nostro albergo.

La cena è in albergo (alle 19 per la cronaca perché come sempre una volta fuori dalle grandi città gli orari sono quelli tipici delle province) ed è a base di carne shabu shabu (buona anche se non al livello del ristorante di Tokyo). Alle 20,30 grande spettacolo di fuochi d’artificio sul lago (vengono organizzati tutte le sere d’estate per i turisti), dopodiché onsen e letto – a terra sui futon.

Con rare eccezioni in Giappone la sera avrete sempre la possibilità di accedere ad un onsen. Ma cos’è un onsen? Questo termine identifica una stazione termale che può essere gestita dalla comunità – quindi una struttura pubblica – o da un albergo. Non è prevista promiscuità: ogni onsen quindi è composto di una zona maschile separata da quella femminile. Spesso le vasche di acqua calda sono due: calda e più calda. Quando si entra in un onsen si lasciano i vestiti ed i propri effetti personali in degli armadietti e poi, nudi, si accede ad una zona con delle docce (basse, ci si siede su degli sgabellini) dove potersi lavare ed eventualmente radere. Come sempre sono a disposizione rasoi usa e getta, spugne da scrub, docciaschiuma e shampoo. Solo dopo essersi lavati e sciacquati si accede alle vasche di acqua calda.

12 Luglio

Il programma prevede di prendere il treno fino alla stazione di Noboribetsu. Lì lasceremo nei locker della stazione i bagagli e con gli zaini raggiungeremo grazie ad un bus di linea il villaggio di Jigokudani. Poi torneremo alla stazione e con un altro treno andremo a Sapporo. Abbiamo gli orari dei treni e quelli degli autobus. Ed in Giappone si può fare affidamento al minuto sugli orari dei mezzi pubblici. E quindi abbiamo stimato che i dieci minuti tra l’arrivo in stazione e la partenza del bus siano più che sufficienti. Cosa potrebbe mai andare storto?!? Ecco, vi spiego… normalmente i locker pubblici sono armadietti di varia capienza e prezzo che sono muniti di apposita feritoia per inserire le monete. Un locker, una feritoia. Ognuno riempie con uno o due bagagli un locker, lo chiude e mette le monete. Rapido. Alla stazione di Noboribetsu invece TUTTI i locker sono comandati da una macchinetta centrale! Metti i bagagli nel locker, non trovi dove mettere gli spicci, vai al touch display e ti metti in fila, cambi lingua dal jappo all’inglese, inserisci il codice del locker, paghi, stampi il qr code per riaprire il locker. Troppo tempo!!! Allora io e quelli che già sono riusciti a chiudere i locker corriamo sul bus per dire all’autista di aspettare tutto il gruppo.

Gli autobus di linea in Giappone hanno due porte. Una centrale dove si sale e si prende il biglietto (il biglietto è chilometrico e su un display si legge il costo della corsa man mano che si aggiungono le fermate) ed una anteriore munita di macchinetta per pagare (con vaschetta dove far cadere gli spicci e fessura per le banconote). Uno di noi si piazza nel mezzo della porta centrale per evitare che l’autista la chiuda, mentre noi altri tentiamo di comunicare con l’autista. Immaginatevi l’autista. Seduto nel suo gabbiotto. In divisa. Indossa guanti bianchi, cappello e mascherina. Come quasi tutti in Hokkaido, parla solo giapponese. È indifferente a tutto ciò che lo circonda. Per lui conta solo la tabella oraria appesa ad un gancio alla sua destra. Noi gesticoliamo, parlando in tutte le lingue che conosciamo (ovviamente NON il giapponese), tentando di mimare locker che si chiudono e gente che corre – ed in effetti uno dopo l’altro i restanti membri del gruppo corrono fuori dalla stazione per salire sul bus.

Arriva l’orario della partenza. Ma la porta centrale non si può chiudere – ricordate? Uno di noi appositamente l’ha bloccata col proprio corpo. L’autista, ridestatosi dal suo torpore, in giapponese sicuramente ci sta invitando a liberare la porta. Noi continuiamo a mimare gente che corre, ad indicare la stazione, a parlare in inglese. Un minuto di ritardo… due minuti di ritardo… l’autista si agita ed indicando la tabella con gli orari appesa al gancetto alla sua destra ci dice che deve partire (magari ci insulta pure, ma vallo a capire il giapponese. L’unico di noi che ne parla un po’ sta ancora combattendo coi locker). Al terzo minuto di ritardo il samurai che dormiva nell’animo dell’autista ruggisce! Impossibile per lui accettare di un’onta simile: tre, dico tre minuti di ritardo! L’autista strappa dal gancetto la tabella oraria, si alza e scende indicandola e protestando vivamente per il sequestro del suo bus!!! E per fortuna in quel preciso momento l’ultimo membro del gruppo schizza fuori dalla stazione e balza a bordo.

Bene… a questo punto finalmente la porta viene liberata ed il povero autista può far partire il suo bus. Siamo a Noboribetsu per vedere la zona geotermica, la Hell Valley. E l’autobus ci porta in una ventina di minuti dalla stazione, che è sulla costa, a Noboribetsu Onsen, il villaggio nei pressi della Valle dell’Inferno: Jigokudani. Qui c’è il capolinea dei bus e mentre ci informiamo su come raggiungere la valle all’info point vediamo che il nostro autista, tabella degli orari alla mano, racconta ad un collega l’incredibile atto di sopruso che ha subito!

Percorriamo a piedi la strada principale del paesino lungo un percorso punteggiato di statue di demoni (kami) e di tempietti – chi se non un demone secondo la religione shinto potrebbe albergare in un paesaggio infernale?!? Superata anche una fonte geotermale nel pieno centro del paese da cui si innalza una alta colonna di vapore, raggiungiamo finalmente l’ingresso di Jigokudani.

Che spettacolo!!! Una valle piena di geyser, rocce rossicce e bianche, pozze fumanti ed odore di zolfo! Ammetto che la prima cosa che, ad un anno esatto da quel viaggio, ho pensato è stata: sono in Islanda!!! Percorriamo le passerelle di legno che ci permettono di muoverci in sicurezza nella valle. Jigokudani è molto grande e a parte questo tratto iniziale comprende molti sentieri che sono ben rappresentati sulle mappe. Avendo un paio d’ore a disposizione scegliamo un percorso adeguato e raggiungiamo il belvedere sul lago Oyunuma, un impressionante stagno fumante. A quel punto scendiamo a valle per raggiungere il bordo del lago e da lì andiamo lungo un sentiero che costeggia il fiume Oyunuma. Anch’esso trasporta acqua calda ed è attrezzato con pontili e sedute per effettuare dei pediluvi. Alla fine del sentiero incrociamo una strada e, superata una strana statua di un blu demone papà mano nella mano con demone figlio, torniamo al villaggio.

Come sempre ci dividiamo per pranzo. In quattro troviamo posto in un piccolo cafè (link Google Maps qui) e poi di nuovo bus e treno per Sapporo. A Sapporo prendiamo le stanze nell’Hotel Abest Sapporo (link qui), dopodiché ci facciamo una passeggiata per visitare il Museo della Birra Sapporo (link qui).

In Giappone l’augurio da pronunciare al brindisi è kampai 乾杯 (letteralmente “bicchiere asciutto”). Meglio evitare il nostro cin cin perché ha un suono simile a chinchin ちんちん, lʼorgano sessuale maschile.

Arriviamo in chiusura al museo. È possibile ancora visitarlo, e ne approfittiamo, ma il bar per le degustazioni a fine visita ormai è chiuso. Come ho già più volte accennato, qui nel nord l’inglese è poco diffuso. Ma addirittura trovare i contenuti scritti ed audiovisivi di una meta turistica e commerciale come questa solo in giapponese non me lo aspettavo.

Dopo la visita torniamo alla stazione dei treni, intorno alla quale sorge un vasto complesso commerciale con le sempre presenti food area. Come sempre ci dividiamo per cena. Io e qualche altro temprato membro del gruppo decidiamo di cenare al più famoso e rinomato ristorante sushi roll della città: il Nemuro Hanamaru at Sapporo Station (link qui). La tempra è servita per l’attesa… tre ore!!! È stata veramente dura ma solo in altre due occasioni mi è capitato in questo viaggio di mangiare così bene. In questi sushi roll il colore del piatto indica la fascia di prezzo. Solo alcuni sushi scorrono sul rullo. Vengono ciclicamente annunciati piatti extra e c’è un menù da cui ordinare buona parte delle pietanze.

13 Luglio

Vi anticipo che a pranzo mangeremo del sushi all’altezza di quello di ieri sera. Ma andiamo con ordine.

Il programma di oggi prevede di visitare la costa a nord di Sapporo, la Penisola dello Shakotan. Abbiamo pensato per questa escursione, anziché affittare per la giornata dei taxi collettivi, di approfittare di un tour guidato della Chuo Bus (link qui) che con un bus turistico ed una guida (ahinoi parlante solo giapponese) propone una giornata ben organizzata: soste ai viewpoint, pranzo, una gita su una barca col fondo di vetro (opzionale e legata al meteo) e la visita ad una distilleria di sakè. I posti sul bus sono preassegnati e veniamo accomodati un po’ quà, un po’ là. Io capito in uno dei primi posti, con a fianco una signora di mezz’età giapponese (l’età media dei passeggeri comunque è alta. Sembra proprio che i giapponesi facciano turismo prevalentemente nella terza età). L’Hokkaido ha un fortissimo turismo interno ed in effetti, a parte noi, sono pochissimi i non giapponesi a bordo. La signora parla inglese, mi dice di essere di una città dalle parti di Tokyo e di essere a Sapporo perché ha preso un paio di giorni di ferie. E la nostra conversazione finisce praticamente alla partenza del bus. Dormirà per tutto il tragitto, per ridestarsi solo alle varie soste! Molto giapponese!

La guida indossa guanti bianchi e mascherina e parlerà per tutto il viaggio! Sempre e solo in giapponese. Il bus percorre la strada lungo la costa che ci regala scorci meravigliosi. Ma al massimo ci permette qualche scatto dal finestrino, perché se una sosta non è prevista… non è prevista

Prima sosta prevista: Roadside Station Space Apple Yoichi. Come si potrebbe (forse) arguire dal lunghissimo nome è una sosta tecnica nella cittadina di Yoichi per andare in bagno. Il piazzale dove ci fermiamo ospita un negozio di souvenir, un negozietto che produce una buona apple pie (provata) e la Space Dome (link qui), un museo dedicato al primo astronauta giapponese, Mamoru Mohri, nativo proprio di Yoichi. Purtroppo il tempo della sosta è poco e non è possibile visitare il museo. Ora, una nota di colore. Il meteo è molto variabile oggi. Al momento della risalita sul bus pioviggina. Così leggermente che io neanche me ne curo. Ebbene l’autista e la guida si sono messi ai lati della porta del bus con gli ombrelli aperti così da non far bagnare i passeggeri mentre chiudono i loro. Molto giapponese!

Arriviamo al primo viewpoint: Shimamui Coast. Ad ogni sosta, prima di farci scendere, la guida scrive su una lavagnetta l’orario a cui essere di nuovo a bordo. Anche questo molto giapponese! (E no, stavolta non c’è assolutamente la necessità di causare ritardi e addirittura arriviamo sempre una manciata di minuti in anticipo ai vari appuntamenti).

Il tempo concessoci non è mai molto, cosicché avanti, veloci verso il viewpoint. Dalla strada si passa attraverso una galleria pedonale e si sbuca sulla scogliera. C’è una scalinata in legno che permette di raggiungere la spiaggia. Il tempo è risicato e solo pochi si avventurano per scendere e risalire a passo svelto i 100 metri di dislivello. Io mi fermo a metà altezza, dove oggettivamente si può godere di una vista eccezionale sul panorama.

Sosta successiva, la pausa pranzo da Hama Sushi a Yobetsu. Nonostante Hama Sushi sia una catena di ristoranti, qui siamo in Giappone ed entriamo in un ambiente molto tipico. La sala da pranzo è rialzata su un tatami, ci si siede a terra davanti a dei tavolini bassi. Il pasto è fisso, una zuppa di miso ed una ciotola di sashimi di pesce freschissimo! Extra ordiniamo del bafun uni, sashimi di polpa di riccio di mare. Piatto tipico e che così fresco si trova solo in questo periodo dell’anno qui in Hokkaido. Tutto squisito. Farei volentieri il bis ma… non possiamo certo sforare i 40 minuti che l’organizzazione ci ha così gentilmente concesso per il pranzo.

Dopo pranzo raggiungiamo Cape Kamui. Qui dovremmo fare una passeggiata fino al faro ma… il meteo ha deciso diversamente: un forte vento dardeggia la pioggia sui poveri turisti. Mi compro uno di quei simpatici kay way trasparenti che indossano tutti i giapponesi (when in Rome, do as the romans do) e sfidando le intemperie raggiungo il gruppo sul viewpoint per ammirare da lontano il promontorio del faro.

Ovviamente con questo tempo l’eventuale sosta per la gita sulla barca dal fondo di vetro viene annullata ed andiamo direttamente alla Tanaka Sake Brewery (link qui) ad Otaru. Accompagnati da una guida anche qui parlante solo giapponese visitiamo la vecchia distilleria per poi accedere al negozio dove poter assaggiare ed acquistare varie tipologie di sakè.

Il tour prevede una sosta alla stazione di Otaru e noi preferiamo scendere qui per visitare la cittadina per conto nostro e tornare poi col treno a Sapporo. A posteriori non mi sento di consigliare il tour di Chuo Bus. Forse avremmo fatto meglio ad affittare dei taxi collettivi per tutto il giorno. Al di là del meteo, la costa dello Shakotan regala scorci meravigliosi e con un’auto ci si può fermare per goderseli e fotografarli. Noi invece abbiamo vissuto un vero tour giapponese: tutti insieme irregimentati a fare la foto ricordo e poi via verso la prossima foto ricordo. Forse è un’esperienza che una volta nella vita va fatta, quindi bene, ma eviterei di ripeterla.

Otaru merita appieno una sosta. È una pittoresca città portuale con un canale su cui si affacciano gli antichi dock spesso rimodernati, antichi edifici in stile europeo ed un’atmosfera bohémien a condire il tutto. La città è famosa per le sue lanterne di vetro soffiato a mano e per il sushi.

Dopo aver girato in lungo ed in largo la cittadina ed i suoi negozzietti, come sempre ci dividiamo per cena ed io mi unisco al gruppo in cerca di ramen. Ceniamo nel ristorante Mahoro (link di Google Maps qui). Ottimo!

14 Luglio

Lasciamo Sapporo e col treno raggiungiamo prima Furano e poi Nakafurano per visitare i celeberrimi campi di lavanda in fiore. In questa stagione viene istituito il Furano Lavender Express, un treno dai colori violacei espressamente dedicato ai turisti.

Lasciati i bagagli nei locker della stazione ci avviamo a piedi e visitiamo una prima fattoria: Hokuseiyama Lavender Garden che include una seggiovia per raggiungere la sommità della collina su cui sono coltivati i campi di lavanda.

Dopo esserci goduti la vista dalla cima ed esserci immersi tra la lavanda ed aver scattato diecimila foto decidiamo di proseguire verso la famosa Tomita Farm (link qui). La coltivazione della lavanda è cominciata nel 1958 per diventare oggi un grande business. Nonostante l’imponente afflusso turistico i campi sono spettacolari. Non solo coltivati a lavanda ma anche con altri fiori, così da alternare i colori che coprono le dolci colline della tenuta. Vendono anche un ottimo gelato alla lavanda, dal gusto poco marcato così da non risultare stucchevole.

Dopo aver pranzato alla Tomita Farm torniamo alla stazione, recuperiamo i bagagli e prendiamo il treno panoramico per Biei. Anche questo treno è espressamente istituito in questa stagione per i turisti. È molto carino, con sedili in legno che possono essere girati per ammirare il panorama e ampi finestroni. Arrivati a Biei scendiamo, bagagli nei locker e… il nostro obbiettivo è il Blue Pond, raggiungibile da un solo autobus. Forse avremmo fatto meglio a prendere dei taxi. L’autobus viaggia più lentamente di un’auto, fa varie fermate a chiamata ed è pieno come un uovo! Raggiunto lo stagno ci rendiamo conto di avere tempi ristrettissimi per non perdere il treno che da Biei deve portarci oltre e quindi implementiamo la modalità foto-scappo: letteralmente a passo di marcia o di corsa raggiungiamo il sentiero che costeggia il laghetto, scattiamo le nostre foto e ci precipitiamo alla fermata del bus per prenderlo il prima possibile in direzione Biei.

Lo Stagno Blu è – anche visto di corsa – veramente bello. Non è una formazione naturale ma fu involontariamente creato nel 1988 durante i lavori per mettere in sicurezza Biei dalle colate laviche del Monte Tokachi. Gli alberi che emergono dalle acque sono larici e betulle bianche, mentre il sorprendente colore blu cobalto sembra sia dovuto alla presenza di idrossido di alluminio colloidale disciolto nell’acqua.

Dopo essere risaliti in treno proseguiamo verso Kamikawa. Dobbiamo attendere il bus per Sounkyo ma sono le 20 ed arriveremo troppo tardi per cenare. In effetti anche a Asahikawa sembra essere troppo tardi per cenare, visto che l’unico locale intorno alla stazione da cui filtra un po’ di luce è un ristorantino in chiusura: Akashi (link qui). Però loro sono carinissimi ed accettano di prepararci in dieci minuti degli onigiri al salmone da mangiare a bordo del bus.

Arrivati a Sounkyo Onsen raggiungiamo il nostro ostello, il Sounkyo Hostel (link qui). Prima di andare a letto stappiamo una bottiglia presa alla distilleria si sakè (grazie Luca!)

15 Luglio

Sounkyo Onsen è una rinomata località termale immersa nel Parco Nazionale di Daisetsuzan. D’estate è punto di partenza per trek e traversate di più giorni sui monti circostanti.

La mattina ci alziamo e facciamo colazione nel nostro ostello, con i cervi che gironzolano tutt’intorno. La notte ha piovuto ma stamane c’è solo molta nebbia. Decidiamo di prendere la Cabinovia del Monte Kurodake (link qui) che ci porta dai 670 metri di Sounkyo a 1300 metri. Sulla stazione di arrivo c’è anche una terrazza panoramica ma al momento è inutile salirvi vista la bassa visibilità a valle. Proseguiamo lungo il sentiero e raggiungiamo la seggiovia che ci porta a 1520 metri. Da lì raggiungiamo via trek la vetta del Monte Kurodake a 1948 metri.

Finora il meteo ha retto ma raggiunta la cima le nuvole iniziano ad addensarsi. Mentre scendiamo inizia a piovere. Come ho già accennato qui il grosso dei turisti sono giapponesi e sono più che attrezzati al clima inclemente dell’Hokkaido. Tutti quelli che incrociamo (sempre più anziani che giovani) sono vestiti di tutto punto con abiti impermeabili. Io semplicemente ritiro fuori il kayway giapponese per la discesa ed aggiungo l’ombrello trasparente giapponese sulla seggiovia: Chernobyl mi fa un baffo.

Alla stazione della cabinovia ha spiovuto, quindi saliamo sulla terrazza panoramica per rimirare la valle e poi scendiamo a Sounkyo. Pranziamo in un ristorante specializzato in ramen, Daisetsuzan Shokudo (link qui). Dopo pranzo facciamo una passeggiata alle cascate Ginza e Ryusei, incassate in una valle circondata da costoni alti un centinaio di metri. Al ritorno incrociamo una famigliola di cervi non troppo timidi e poi andiamo all’onsen pubblico, il Kurodake-No-Yu Public Onsen (link qui). Le acque calde sono termali e la vasca più calda posta nel solarium affaccia all’esterno!

Ceniamo di nuovo da Daisetsuzan Shokudo. Ormai siamo di casa e l’intero staff vuole farsi una foto con noi! E dopo cena… relax con un po’ di whisky giapponese (grazie Paolo R)!

16 Luglio

Lasciamo Sounkyo e col bus torniamo ad Asahikawa e di lì in treno raggiungiamo Abashiri. Questa è una meta interessante nel viaggio, perché in questa cittadina aveva sede la più dura prigione dell’Impero Giapponese. La prigione di Abashiri fu costruita nel 1890 ai piedi del Monte Tento e qui vennero rinchiusi alcuni dei criminali giapponesi più pericolosi, gran parte dei quali lavoravano per la yakuza, la mafia giapponese. Condannati ai lavori forzati, questi prigionieri coltivarono campi e costruirono strade, contribuendo allo sviluppo dell’Hokkaido. La prigione divenne popolare per via di una famosa serie televisiva degli anni ’60 incentrata sulla yakuza in cui alcune scene vennero ambientate proprio in questo penitenziario. Negli anni ’80 venne avviato un progetto di modernizzazione e rinnovamento della prigione di Abashiri e alcuni dei vecchi edifici furono convertiti in museo e aperti al pubblico, mentre le nuove strutture sono ancora adibite a prigione nella location originale.

Prendiamo quindi un bus di linea e raggiungiamo il Museo della Prigione (link qui). Anche stavolta abbiamo i tempi un po’ stretti per via degli orari dei treni (forse sarebbe meglio affittare una macchina per girare l’Hokkaido) ma riusciamo a visitare buona parte della struttura. Nel percorso di visita è possibile esplorare una decina di edifici e vecchie strutture, all’interno delle quali sono state allestite mostre che illustrano la vita quotidiana dei prigionieri, attraverso foto, diari, reperti e manichini che danno realisticamente l’idea della durezza della vita in questo penitenziario (fate conto che a febbraio la temperatura massima è a -3 e la minima è a -8 e le celle ricevevano calore solo sa dei bracieri nei corridoi).

Tornati alla stazione ci dividiamo per un rapido pranzo – io mi fermo con altri alla steakhouse Victoria Station per un boccone di carne (link qui) dopodiché prendiamo al volo il treno per Shari.

Ci dividiamo in due hotel. Alcuni dormono di fronte la stazione, mentre io faccio parte del gruppo che dorme nell’Hotel Both (link qui), un poi fuori mano rispetto alla stazione ma immerso nel verde. Visto che ha un suo ristorante, ceniamo lì.

17 Luglio

Via bus raggiungiamo il Parco Shiretoko Goko Lakes (link qui), il Parco dei Cinque Laghi. La Penisola di Shiretoko è uno dei luoghi al mondo con la più alta densità di orsi, per la precisione di orsi bruni dell’Amur. Ma (paradossalmente) non si viene qui per incontrarli. Ed infatti noi, che volevamo tanto avvistarli, non li abbiamo incontrati!

Ok, serve qualche spiegazione a quello che ho scritto poco fa. L’orso bruno dell’Amur è un orso selvaggio ed aggressivo e gode di una pessima fama in Giappone anche a causa di un increscioso episodio avvenuto nel 1915. Tra il 9 e il 14 dicembre di quell’anno, in uno degli inverni più rigidi dell’Hokkaido, un grosso esemplare bruno dell’Amur si risvegliò in anticipo dal letargo e, affamato, attaccò le abitazioni di tre villaggi provocando la morte di sette persone, il ferimento di molte altre, e danni così ingenti che condussero infine all’abbandono di uno di essi. Il Parco quindi prevede due percorsi per avvistare gli orsi ma poeticamente viene inteso dai giapponesi più come un posto dove godersi la natura incontaminata di questa zona remota. Ma noi volevamo avvistare gli orsi!!!

Due percorsi quindi… il primo, liberamente percorribile, è una piattaforma lignea sopraelevata. Poi c’è un percorso di 3 km che costeggia i cinque laghi del parco e che permette un periplo completo in un’ora e mezzo. Per evitare di trovarsi un orso sul sentiero e non poterlo raccontare, il tragitto lungo i laghi prevede l’accompagnamento di una guida (il tutto va prenotato in anticipo). E ovviamente la guida parla SOLO giapponese. Sebbene Wakasan, la nostra guida, qualche parolina d’inglese l’abbia imparata – anche se il grosso della conversazione si basa sui gesti e sul mimare. La guida è munita di bombola di spray repellente per orsi e le regole sono rigide: si obbedisce alla guida e se un orso viene scorto sul sentiero il tour si blocca e si torna indietro senza fiatare. Il tutto ci viene ben illustrato in un video prima di uscire sul sentiero.

Nei giorni precedenti erano stati avvistati degli orsi sia dalla pedana rialzata sia sulle sponde di uno dei laghi. Noi avvistiamo solo le unghie di un orso che si è arrampicato su un albero. E debbo dire che vista l’altezza dove ancora si vedevano le unghiate, direi che non si possa contare su una propria abilità a scalare gli alberi per sfuggire ad un orso curioso.

Il meteo è quello che ci si aspetta nella bella stagione in Hokkaido: piove! A volte no, a volte pioviggina, a volte viene giù che Dio la manda… ma ho il mio solito kayway jappo che mi rende così alieno tra il verde rigoglioso che mi circonda. Ah tranquilli per il fango: nel visitor center sono a disposizione anche gli stivali di gomma…

Bene. Niente orsi nel parco dove non si vedono gli orsi. Ma noi eravamo preparati! Avevamo letto che se non avessimo visto gli orsi nel parco dove non si vedono gli orsi, ebbene sarebbe bastato effettuare una gita in barca da Utoro per avvistarli sulle spiagge!

E noi appunto per sicurezza avevamo prenotato un tour sul rompighiaccio Aurora (link qui). Raggiungiamo l’altezza del Parco, ammiriamo una bella cascata dove il fiume Kamuiwakkano precipita in mare, sorprendo col teleobiettivo un cervo su uno sperone roccioso ma… niente orsi! Sgrunt!!!

Torniamo comunque contenti delle belle escursioni a Shari: sia la passeggiata nel bosco che la gita in barca sul Mare di Otoshk sono state molto belle. Ci dividiamo ma buona parte di noi va a cena da Sushizen (link qui).

Voglio raccontarvi la scenetta iniziale perché da un’idea realistica di come i giapponesi ragionino per schemi fissi. Noi siamo dieci. Ci affacciamo all’ingresso del locale e notiamo che al bancone i posti sono tutti presi, ma che tre dei quattro tavolinetti bassi (da quattro posti l’uno) sono ancora liberi. Ci viene incontro il gestore che ovviamente (lo so, dovrei smettere di ripeterlo) parla SOLO giapponese. Noi con le dita gli indichiamo che siamo in dieci. Lui si gira, vede i tre tavolini liberi e incrocia le braccia sul petto (i giapponesi fanno una X sul petto con le braccia per dire di no a gesti): non ha posto per dieci. Ci saluta e fa per rientrare nel locale. Noi ci guardiamo, sorridiamo, lo richiamiamo e… a gesti gli facciamo intendere che adesso siamo solo quattro! E andiamo ad accomodarci. Poi entra il secondo gruppo da quattro e poi gli ultimi due! Ottimo sushi tra l’altro.

18 Luglio

Lasciamo Shari col treno per raggiungere Mashu. Alla stazione ci raggiungono due taxi collettivi che avevamo prenotato. Carichiamo i bagagli sui van ed iniziamo il tour dei laghi del Parco Nazionale Akan-Mashu (link qui).

La prima sosta è al lago Mashu. Il lago Mashu occupa la caldera dell’omonimo vulcano ed è famoso per le sue acque cristalline, che fino al 1931 lasciavano filtrare lo sguardo fino a 40 m di profondità, superando quindi per limpidezza quelle del lago Bajkal. Oggigiorno invece la visibilità si aggira intorno ai 20 m. Probabilmente sia l’introduzione di due specie di trote sia l’inquinamento atmosferico hanno causato questo calo di limpidezza.

La popolazione Ainu chiamava questo lago “Mashinko”, che significa lago del diavolo. Gli abitanti del luogo credono che le divinità del lago Mashu siano in grado di influenzare le nostre vite e che la nostra sorte dipenda da com’è il giorno in cui si osserva il lago, se è nebbioso o sereno. È qui arriva il bello. Si, perché i banchi di nebbia amano sostare sul lago Mashu. Particolarmente a giugno e luglio. Insomma, effettuiamo la prima sosta al Lake Mashu Observatory No.1 e non vediamo assolutamente nulla! Stessa sorte al successivo Lake Mashu Observatory No.3. L’aver trovato nel negozio di souvenir del visitor center (link qui) una maglietta con la scritta Lake Mashu of Fog ci rincuora.

Tappa successiva il Monte Iō o Iozan. Il Monte Iozan è un vulcano alto 512 metri situato all’interno del gigantesco cratere di Kussharo ed è caratterizzato da gruppi di solfatare (con relativo forte odore di uova marce – sottovento mi sembrava di essere tornato alle gite scolastiche alla solfatara di Pozzuoli).

Dopo aver visitato le solfatare di Iō ci spostiamo a Sunayu Onsen, sulle sponde del Lago Kussharo (link qui). Il Kussharo è il più grande lago vulcanico del Giappone. Le sue sponde sono caratterizzate da molti bagni termali all’aperto (rotenburo). In realtà basta scavare con i piedi nella sabbia per entrare in contatto con acqua calda o molto calda! Nonostante questo il lago Kussharo è l’unico lago giapponese a ghiacciare interamente in inverno. Stagione nella quale ospita moltissimi cigni tra l’altro – e motivo per cui ci sono molte barchette per turisti a forma di cigno. Oltre a loro la leggenda vuole che ospiti anche un mostro marino simile a quello di Loch Ness, che nel 1973 è stato battezzato Kusshie dalla stampa.

Risaliamo sui van e raggiungiamo il Passo di Bihoro, dove sostiamo alla Roadside Rest Area Bihoro-toge (link qui). OVVIAMENTE anche da questo punto panoramico la nebbia impedisce di ammirare il panorama ma almeno ci rifocilliamo degnamente con un piatto tipico, la ezo venison roast rice bowl, una ciotola di riso con carne di cervo cotta a bassa temperatura. Altro cibo tipico dell’Hokkaido disponibile sono le ageimo, palle fritte di patate.

Lasciamo le nebbie del Bihoro Pass per tornare al lago Kisshoro e alla Penisola di Wakoto (link qui). La penisola ospita un trekking ad anello di 2,5 km e varie solfatare e regala dei bei scorci sul lago.

Finita la nostra passeggiata lasciamo il lago Kussharo e raggiungiamo il lago Akan, dove prendiamo le nostre stanze ad Akanko presso l’Hotel Gozensui (link qui), affacciato direttamente sul lago. Akanko è una cittadina turistica, zeppa di negozietti con souvenir in legno di fattura Ainu. Il fulcro del villaggio è il Lake Akan Ainu Kotan (link qui), un insediamento (kotan) Ainu che conta circa 120 abitanti. Come avevo accennato in apertura di questo diario, nonostante i tentativi recenti di preservare la cultura Ainu, molto è andato perduto a causa delle brutali politiche di integrazione del periodo imperiale. Quindi quello che troviamo è sicuramente meno di quello che ci aspetteremmo. La produzione artigianale Ainu si concentra su sculture lignee di orsi e uccelli, anche di notevoli dimensioni, ma comunque abbastanza simili come tipologia. Il kotan comprende un piccolo museo sulla cultura Ainu, delle botteghe artigianali e dei ristoranti di cucina Ainu. Due ricostruzioni di capanne tradizionali ed un teatro dove assistere a spettacoli di danza sia tradizionale sia rivisitata in chiave moderna.

Ceniamo in uno di questi ristornati Ainu, il Marukibune (link qui).

19 Luglio

In mattinata facciamo una passeggiata sul promontorio vulcanico ai cui piedi sorge Akanko. Appena ai margini del villaggio risaliamo un sentiero costellato di torii rossi per raggiungere su una collinetta il tempio Akandake Shrine Okunoin. Da lì attraverso un sentiero raggiungiamo delle pozze di fango bollente e poi lungo le sponde sul lago torniamo verso l’albergo.

Sempre ai margini del villaggio c’è l’imbarcadero per il tour del lago Akan e per vedere il museo delle alghe Marimō. Queste alghe particolari, che in Giappone crescono solo qui, formano colonie a forma di palla e sono considerate un portafortuna – e per questo commercializzate in tutto il Giappone. Il tour ci porta lungo sponde nascoste del lago e prima di rientrare ad Akan ci fa sbarcare su un’isoletta che ospita questo piccolo museo dove vedere le Marimō in delle teche con tutte le spiegazioni per comprendere la biologia di queste particolari alghe.

Pranziamo con del ramen divino in un bugigattolo a fianco dell’imbarcadero gestito da una simpatica signora e poi andiamo ad assistere allo spettacolo di danze tradizionali Ainu presso il Lake Akan Ainu Theater (link qui). Lo spettacolo è un po’ ipnotico, sarà la ripetitività dei canti o la digestione al buio…

Finito lo spettacolo dobbiamo prendere un ennesimo bus per spostarci. Non ci sono treni che raggiungano il lago Akan e quindi supponiamo che l’unico collegamento con la costa sud sia con un pullman. Invece ci si presenta un bus di linea, di quelli da città con le fermate a chiamata, sedili rigidi e senza bagagliaio per le valige. Il tutto per due ore e mezza di tragitto! Occupando il corridoio riusciamo a far entrare tutti i bagagli e così raggiungiamo Kushiro.

Alla stazione incrociamo una manifestazione contro la guerra: quindici persone di numero con cartelli e striscione, perfettamente immobili in formazione quadrata, con speaker che parla e telecamera fissa che li inquadra. Molto giapponese!
Andiamo in albergo, il Super Hotel Kushiro Natural Hot Spring (link qui).

Ci sistemiamo ed andiamo a cena in centro e… siamo al terzo sushi spettacolare del viaggio!!! Entriamo in Ko Sushi, un ristorantino con due tavoli ed un bancone gestito da un vecchietto (vi metto il link di Google Maps qui perché OVVIAMENTE non ha sito). Il vecchietto è mezzo sordo (spesso si porta la mano all’orecchio per tentare di capire) e parla SOLO giapponese. Ci indica delle tavolette di legno appese alle sue spalle e ci guarda interrogativo. Le nostre app di traduzione giapponese-italiano falliscono ma Michele, l’unico del gruppo ad aver studiato un po’ di giapponese, salva la situazione!!! Riesce a parlare col vecchietto e viene fuori che quelle tavolette corrispondono ai prezzi dei menù serviti. Scegliamo un prezzo e… magia. Il vecchietto parte come un automa e ci prepara senza colpo ferire un mix di dieci pezzi di sushi a testa. Spet-ta-co-la-ri!!! Farei anche il bis ma il locale deve chiudere e tocca rinunciare.

Dato che alcuni di noi hanno ancora fame ed altri vorrebbero bere un drink andiamo all’Hot Sauce (link qui) che già dal sottotitolo sulla facciata jazz soul and kitchen e dalla vetrina ci convince di essere nel posto giusto per noi! Metto delle foto per rendere l’idea

20 Luglio

Passiamo metà giornata su due treni per raggiungere Hakodate, la terza città dell’Hokkaido dopo Sapporo ed Asahikawa. Prendiamo le nostre stanze al JR Inn Hakodate (link qui), molto comodo perché letteralmente parte della stazione e nel pomeriggio andiamo in giro per la città.

Il porto di Hakodate fu uno dei primi ad essere aperti agli stranieri dopo che l’ammiraglio Perry con le sue “navi nere” costrinse il Giappone a rompere il proprio isolamento. Questo ha fatto si che esistano una serie di edifici storici di fattura occidentale risalenti al tardo ottocento: una chiesa cattolica, una chiesa ortodossa russa, l’ex consolato britannico, riuniti nel quartiere Motomachi, ai piedi del Monte Hakodate.

I vecchi docks sono stati ristrutturati e trasformati nei grandi magazzini Kanemori Red Brick, ideali per uno shopping elegante.

Dopo aver girato liberamente per la città ci siamo ritrovati per le 18,30 alla base della funivia che ci ha portato sulla sommità del Monte Hakodate (che in realtà è alto solo 334 metri). Da lì ci siamo goduti il tramonto e la vista della città illuminata di notte.

Torniamo nella zona dell’albergo e ci dividiamo per cenare nel quartiere Daimon Yokocho (link qui), un quadrilatero di vie costellate di ristorantini da pochi coperti l’uno.

21 Luglio

Alle 7 del mattino andiamo al mercato del pesce di Asaichi (link qui). Per la cronaca l’Hakodate morning market apre alle 5 e chiude a mezzogiorno! Si può comprare pesce e granchi giganti, ostriche o pescare un totano da una vasca con una canna e mangiarlo per colazione.

Dopo una tipica colazione locale con zuppa di alghe e sashimi torniamo in stazione per prendere lo Shinzansen che ci riporta a Tokyo. Il clima è meno caliente rispetto al nostro arrivo. Fa caldo, c’è afa, ma non a quei livelli.

Prendiamo le stanze al Sotetsu Fresa Inn Ginza-Nanachome (link qui) nel lussuoso quartiere di Ginza appunto. Abituati ormai alle camere dagli spazi normali dell’Hokkaido fatichiamo ad abituarci alle claustrofobiche stanzette con matrimoniali alla francese degli alberghi di Tokyo.

Il gruppo si divide e vado con un gruppetto alla Tokyo Tower (link qui). Dopo essere saliti in cima (tento di vedere anche da qui il Monte Fuji ma niente, troppa foschia) andiamo al sottostante tempio Zojoji (link qui) dove è in corso una sagra. Poi facciamo un rapido giro ad Akhiabara per poi andare a cena a Tsukiji. Sono le 21 ed è quasi tutto chiuso ormai ma riusciamo a cenare al Yakiniku Futago (link qui), locale dove i tavoli sono muniti di una piccola griglia dove cucinare la carne. Potete lasciare che siano i camerieri a cucinarla per voi o cimentarvi in prima persona. Contate che come sempre le porzioni sono piccole.

Dopo cena, tornando verso l’albergo, ci fermiamo al Nelson’s Bar così che chi ha ancora fame possa mangiare e gli altri bere qualcosa.

22 Luglio

Giorno di addio per buona parte del gruppo. Chi volava con Air China parte oggi. Noi 4 che invece voliamo con Swiss Air abbiamo ancora una notte a Tokyo. Dopo esserci salutati con gli altri ci spostiamo in un capsule hotel ad Asakusa, il Lightning Hotel Asakusa (link qui) e ci dedichiamo a girare ancora per Tokyo.

Andiamo al Santuario Meiji, santuario shintoista dedicato alle anime dell’Imperatore Mutsuhito e di sua moglie, l’Imperatrice Shōken. È situato all’interno del parco Yoyogi, tra Shinjuku e Shibuya. E’ il santuario shintoista più grande di Tokyo, molto popolare e molto frequentato dalla popolazione giapponese, sia per motivi religiosi sia per motivi ricreativi. Oltre al tempio visitiamo anche quelli che erano i giardini privati dell’imperatore, con la casa del the, i laghetti con i fiori di loto ed una sorgente di acqua.

Per pranzo torniamo al Mercato del Pesce di Tsukiji e ci fermiamo a mangiare ad un sushi roll della catena Sushi Zanmai (link qui).

Dopo pranzo ci spostiamo alla Tokyo Sky Tree. La torre raggiunge i 634 metri e noi saliamo ad entrambi i punti di osservazione, a 350 metri prima ed a 450 metri di altezza poi. Ceniamo lì in un ristorante coreano, il Saikabo (link qui).

È sabato sera e tornando al nostro hotel notiamo come la metro sia piena di persone vestite in chimono per la serata.

23 Luglio

Stavolta tocca a noi tornare. Narita Express per l’aeroporto e sayonara Giappone.