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Influenza messicana

Butto giù qualche riflessione sull’ennesimo virus che dovrebbe spazzarci via, ma ahilui non ce la fà.

Negli ultimi anni s’è diffusa questa certezza. Dato che in media dopo quarant’anni dovrebbe svilupparsi un ceppo virale più resistente degli altri ai nostri antivirali, ecco che ormai ogni anno OMS e media lanciano allarmi devastanti utilizzando la parola pandemia.Utilizzando? Abusando della parola pandemia. Abbiamo avuto la SARS, l’aviaria, ora la messicana. Una minaccia planetaria all’anno. Nessuna che rispetti le previsioni di spazzarci tutti via! E per fortuna…

Intanto dobbiamo intenderci meglio sul significato reale che diamo a pandemia. Una qualunque epidemia che interessa più aree geografiche del mondo è definibile pandemia. De facto anche la normale influenza che ci raggiunge ogni anno lo è. Parte dalla Cina o dal Sud-est asiatico, percorre l’Asia e l’Europa.

Ma col termine pandemia le persone comuni pensano a epidemie catastrofiche, come l’influenza spagnola del 1918 che uccise circa 50 milioni di persone in tutto il mondo.

Ecco che utilizzando un termine anche tecnicamente corretto si trasmette un messaggio errato.

L’influenza messicana è tecnicamente una pandemia. Non tanto per suo merito, si trasmette infatti tramite starnuti e goccioline di saliva, non certo trasportata dalle correnti aeree. Senza un contatto stretto con l’ammalato o con bicchieri/utensili sporchi difficilmente ci si ammala. Deve la sua rapida diffusione alla globalizzazione, che rende gli spostamenti delle persone molto facili.

Tecnicamente parlando ha una diffusione simile a quella della normale influenza e a tutt’oggi può procurare sintomi più gravi, sebbene i pazienti rispondano positivamente ai normali farmaci anti-virali. Salvo notizie diverse dell’ultimo momento sono a rischio le persone che temono la normale influenza.

Il focolaio sono state le zone rurali e sottosviluppate del Messico. Zone molto povere, con condizioni igienico-sanitarie precarie.

Si è creato un momento di panico, sono state annunciate cifre esorbitanti ed immaginarie, accomunando decessi dovuti a svariate cause ai pochi dovuti all’influenza messicana. Nessuno s’è preoccupato di verificare se le persone decedute fossero persone sane o  dalla salute già compromessa. Sembrava fosse sorto uno di quei virus delle foreste equatoriali, come l’Ebola congolese, un killer a piede libero che aveva iniziato a percorrere il momdo come uno dei cavalieri dell’apocalisse.

L’influenza messicana è un caso in evoluzione. Non voglio nè minimizzarne l’importanza nè però voglio andare dietro all’isteria dei media. Dai dati diffusi in questi giorni è morta più gente per i normali ceppi influenzali che per questo. Se politici e giornalisti avessero lasciato a chi di dovere la gestione del caso probabilmente non ne avremmo sentito parlare al di fuori degli ambienti sanitari. Ma è anche vero che l’OMS, come le varie agenzie internazionali, vedi la FAO, hanno bisogno di sempre nuovi e ricorrenti motivi per giustificare l’enorme quantità di denaro che assorbono a fronte dei modesti risultati che ottengono.

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